Da due settimane non si hanno più notizie del caporedattore della Rádio Comunitária de Palma, cittadina della provincia di Cabo Delgado, la regione investita dai ricorrenti attacchi dei jihadisti. Ma non è imputabile a loro la scomparsa di Ibraimo Abú Mbaruco.
Con un ultimo sms, la sera del 7 aprile, Mbaruco è riuscito a dire a un collega che era «circondato da militari», ma senza dare la propria localizzazione. Del caso si è da subito occupata Misa Moçambique, la branca mozambicana dell’Istituto per la comunicazione sociale in Africa australe – una ong che promuove la libertà d’espressione –, che venerdì scorso si è detta certa che «sono effettivamente state le Forze armate di difesa del Mozambico (Fadm) a sequestrare il giornalista», aggiungendo che lo stesso «è stato portato da Palma a Mueda, dove le forze armate hanno un locale adibito agli interrogatori».
Alla denuncia di Misa Moçambique si sono associate, a livello internazionale, Human Rights Watch, Amnesty e Reporter senza frontiere (Rsf). Il responsabile di Rsf per l’Africa, Arnaud Froger, ammonisce che «trasformare la provincia di Cabo Delgado, devastata dalla violenza, in un buco nero dell’informazione non aiuterà a far spegnere l’insurrezione». Anche la delegazione dell’Unione Europea a Maputo ha chiesto al governo un’inchiesta da condursi con «rapidità ed efficienza».
Che il sequestro di Ibraimo Mbaruco sia legato alla situazione sul terreno, dove le forze di sicurezza hanno finora manifestato scarse capacità di reazione efficace, è l’ipotesi più plausibile. Già l’anno scorso, ricorda la Deutsche Welle, furono detenuti per quattro mesi e maltrattati altri due giornalisti, Amade Abubacar e Germano Adriano, che davano informazione sugli attacchi nella provincia. E appena una settimana fa, il 14 aprile, è stato trattenuto agli arresti per due ore Hizidine Acha, reporter della televisione Stv, accusato di fare fotografie agli agenti durante un’operazione a Pemba, il capoluogo provinciale; la polizia, dopo avergli fatto cancellare le immagini, si è poi scusato parlando di un «malinteso».
Legato alla sua professione di giornalista è, per Ibraimo Mbaruco, l’impegno per i diritti umani. Fa parte di Sekelekani, un’associazione mozambicana che promuove la comunicazione per lo sviluppo, e tiene corsi di formazione di citizen journalism. Anche di un suo collega dell’emittente di Palma, Roberto Abdala, non si hanno più notizie da marzo. Abdala è impegnato nella società civile con il Centro Terra Viva, che si occupa dei diritti dei contadini alla terra.
La preoccupazione per la sorte di Ibraimo Abú Mbaruco è grande, anche in considerazione della catena di episodi che in passato hanno visto vittima dei giornalisti (il più conosciuto è Carlos Cardoso, assassinato nel 2000) e la libertà d’informazione.
Nell’Indice della libertà di stampa 2020 relativo a 180 Paesi del mondo, Rsf retrocede il Mozambico dal 99° posto del 2018 (85° nel 2015) alla posizione numero 104.
(P.M.M.)