L’industria dell’abbigliamento di seconda mano gioca un ruolo cruciale nell’economia del Mozambico, fornendo occupazione, sostenendo i mezzi di sussistenza e generando entrate fiscali fondamentali. È quanto emerge da un nuovo rapporto di Consulting For Africa (Cfa) e Abalon Capital Limitada (Abalon), commissionato da Adpp Mozambico, un’organizzazione di servizi professionali che fornisce servizi di consulenza in valutazioni di mercato.
Secondo il rapporto Current Status of Mozambique’s Second-Hand Clothing Market: Opportunities and Challenges, il settore impiega oltre 200.000 persone, garantendo il sostentamento a più di un milione di cittadini. Inoltre, i venditori più affermati guadagnano in media 650 dollari al mese, un reddito notevolmente superiore al salario minimo nazionale di 90 dollari. Il commercio di abiti usati fornisce anche vestiario essenziale all’85% della popolazione e genera circa 35 milioni di dollari all’anno in entrate fiscali, contribuendo a finanziare settori chiave come istruzione e sanità.
Il rapporto sottolinea l’importanza di preservare e sviluppare questo settore, il cui ridimensionamento potrebbe avere gravi ripercussioni economiche e sociali su una nazione che ha già forti difficoltà. Il Mozambico è infatti classificato al 183° posto dell’Indice di Sviluppo Umano delle Nazioni Unite e ha un tasso di disoccupazione del 25%, questo comparto i.
Brian Mangwiro di Abalon Capital ha evidenziato che il commercio di vestiario usato è vitale non solo per il Mozambico, ma per tutta l’Africa. “I decisori politici devono bilanciare la sostenibilità ambientale con il ruolo critico del settore nell’economia locale. La sua catena del valore deve essere compresa nel contesto delle economie a basso reddito”, ha detto.
La ex premier mozambicano, Luisa Diogo, ha ribadito il valore del settore: “Non si tratta solo di vestiti, ma di dignità e opportunità. Il commercio di abiti usati sostiene le famiglie, crea posti di lavoro e contribuisce con entrate fiscali cruciali per i servizi pubblici”.
Il rapporto sfata inoltre il mito del dumping degli abiti usati, sottolineando come la cultura mozambicana favorisca il riutilizzo e il riciclo attraverso sarte locali e la trasmissione degli indumenti tra generazioni. Inoltre, evidenzia come limitare il commercio in Africa potrebbe avvantaggiare altri grandi esportatori, come la Cina, il cui mercato della fast fashion rappresenta un’alternativa meno sostenibile.