di Enrico Casale
È stato il senso di frustrazione e di marginalizzazione a far sollevare i giovani delle province settentrionali del Mozambico e di Cabo Delgado in particolare. Sensazioni che, unite alla predicazione di imam radicali, hanno creato una miscela esplosiva che sta infiammando da cinque anni il nord del Paese lusofono e ha causato migliaia di vittime e sfollati. È questa l’analisi di Emilia Columbo, ricercatrice del Center for Strategic & International Studies (Csis), think tank di Washington (Stati Uniti), esperta delle dinamiche politiche dell’Africa australe. Proprie in queste zone operava suor Maria De Coppi, la religiosa 84 enne comboniana di Santa Lucia di Piave (Pordenone) rimasta uccisa ieri sera in un agguato alla parrocchia di Chipene, nella diocesi di Nacala, città costiera della provincia di Nampula.
«Gli investimenti nei giacimenti offshore del nord del Mozambico – spiega la ricercatrice sentita da InfoAfrica – hanno creato enormi aspettative da parte delle popolazioni locali. Speravano che, finalmente, la loro vita misera potesse cambiare, ma non è stato così». Gran parte dei proventi dell’industria petrolifera e mineraria sono volati verso sud e hanno arricchito le élite di Maputo invece che trasformarsi in stanziamenti per costruire infrastrutture e creare occupazione e ricchezza nel nord. “La miseria è stata la vera spinta di questo movimento – continua Emilia Columbo – poi il detonatore che ha fatto esplodere la bomba è stato l’integralismo islamico predicato da imam venuti da fuori o da mozambicani che sono rientrati in patria dopo essersi radicalizzati all’estero. In Shabaab, così si chiama il movimento, ai locali si sono aggiunti altri giovani stranieri: tanzaniani, burundesi, ugandesi e così via”. Il loro integralismo ha fatto presa su una società che aveva sempre professato un islam sufi, dialogante, aperto al confronto con altre fedi e altre culture. Shabaab, continua Emilia Columbo, ha iniziato a indottrinare anche donne e perfino minori, che hanno creato una rete di informatori divenuta una sorta di struttura di intelligence per i ribelli.
Lo Stato islamico ha approvato l’affiliazione della formazione, dice l’analista, ma non ci sono evidenze che, oltre agli appelli propagandistici, abbia fornito un aiuto materiale ai miliziani. Maputo ha inizialmente sottovalutato questo fenomeno, derubricandolo a criminalità comune. “Per il governo – spiega l’analista – questo movimento era trascurabile. Operava in un luogo remoto, lontano dalla capitale e riguardava piccole città e popolazioni poverissime. Ma si sbagliavano”. La forza sempre maggiore dei miliziani ha convinto il governo a inviare rinforzi militari al nord. Di solito militari del sud, che non parlavano neppure le lingue locali e che erano quindi visti come stranieri. L’intervento dei mercenari russi e sudafricani a fianco delle truppe mozambicane non è servito molto. Fornivano supporto aereo con gli elicotteri senza però offrire un contributo effettivo sul territorio. “Le cose sono cambiate con l’arrivo di militari ruandesi – conclude Emilia Columbo – hanno fornito un supporto nella formazione dei mozambicani e hanno combattuto sul terreno. Insieme alle truppe della Sadc, l’organizzazione degli Stati dell’Africa australe, sono riuscite a cacciare i ribelli dalla costa e dalle principali città. I miliziani jihadisti si sono dispersi, ma non sono stati sconfitti“.
Foto di apertura: courtesy Giovanni Porzio