L’Unione africana ha un nuovo Presidente. È Robert Mugabe, il «vecchio elefante», leader incontrastato dello Zimbabwe dal 1980. I suoi sostenitori lo dipingono come un capo carismatico e democratico. I suoi detrattori (Usa e Gran Bretagna su tutti) come un feroce dittatore senza scrupoli. Dove sta la verità? Mugabe, come Nelson Mandela, è stato un protagonista della lotta contro la discriminazione razziale (il sistema di apartheid dell’ex Rhodesia era molto più duro di quello sudafricano) e contro i colonizzatori. I suoi meriti in questo campo non vanno dimenticati. Lui ha combattuto con forza e costanza il regime di Ian Smith. Una lotta che va inserita nell’ambito della Guerra fredda nella quale gli ex colonizzatori erano sostenuti (più o meno palesemente) dal blocco occidentale, mentre i partigiani dell’indipendenza dal blocco comunista (Urss e Cina). Ma questa non è una specificità della Rhodesia-Zimbabwe, ma di tutto quel periodo. Così come le forti influenze dell’ex colonizzatore che non sono venute meno neanche nel primo periodo di transizione negli anni Ottanta durante i quali, vincolato dagli accordi di pace, Mugabe non è riuscito a muoversi liberamente.
Mugabe però non va confuso con Mandela. Se il presidente sudafricano ha lavorato sempre per la riconciliazione nazionale e ha dimostrato di non essere attaccato al potere (tanto da non ricandidarsi alla scadenza del primo mandato), Mugabe si è dimostrato sempre affascinato dal potere, meglio se quasi assoluto. Già nei primi anni dopo l’indipendenza, non si fece scrupolo di massacrare (con il sostegno dei consiglieri militari nordcoreani) ventimila civili dell’etnia ndbele, colpevoli solo di sostenere Joshua Nkomo, il principale avversario di Mugabe. Successivamente ha più volte modificato la Costituzione sempre con un unico scopo: mantenersi saldo al potere. L’ultima è del 2007 quando ha abolito il comma che impediva a un politico di candidarsi per quattro mandati presidenziali.
Se gli va riconosciuto il merito di aver approvato una riforma del sistema educativo che ha drasticamente ridotto l’analfabetismo nel Paese, va anche detto che è stato lui a distruggere il sistema economico nazionale. Dopo l’indipendenza, gran parte delle terre coltivabili erano in mano a farmer bianchi. Per vent’anni Mugabe ha tollerato che queste terre rimanessero in mano degli ex colonizzatori, dietro a un tacito consenso alle sue politiche. Quando i bianchi hanno iniziato a criticare le sue riforme, ha messo in atto una durissima ritorsione. Invece di approvare una sacrosanta riforma agraria ripartendo equamente le terre, ha scatenato i suoi fedelissimi contro gli agricoltori bianchi. Gli squatter, come venivano chiamati i supporter di Mugabe, hanno attaccato le farm uccidendo e depredando (ma non ottenendo i diritti sulle terre). Le migliori aziende agricole sono state date ai gerarchi del regime che, non avendo competenze, le hanno mandate in rovina. L’economia è crollata. Lo Zimbabwe, un tempo Paese esportatore, è diventato importatore. Intanto le tensioni politiche ed etniche sono aumentate. Oggi, all’età di 91 anni, è uno dei capi di Stato più anziani del mondo. Dal suo scranno sta preparando la successione. Intanto è diventato anche il rappresentante dell’Ua. Una carica simbolica occupata da un simbolo offuscato.