Il regime di Robert Mugabe sta iniziando a reagire contro le proteste sociali di queste ultime settimane. Ieri, 12 luglio, è stato arrestato, con l’accusa è di «incitazione alla violenza pubblica», Evan Mawarire, uno dei leader delle contestazioni. Il 6 luglio, Mawarire, che è un pastore battista, ha chiamato la popolazione a scioperare contro la mancanza di servizi pubblici, l’altissimo tasso di disoccupazione (85%), la corruzione dilagante e i ritardi nel pagamento dei salari pubblici.
Per mobilitare la gente, il religioso ha utilizzato i social network e, in particolare, Twitter attraverso l’hashtag #ThisFlag. Questa protesta ricalca i sistemi già ampiamente utilizzati in altre rivolte in Africa come, per esempio, le Primavere arabe o le rivolte in Burkina Faso, nel corso delle quali i social network sono stati lo strumento principale degli attivisti per tenersi collegati e organizzare manifestazioni.
Quello del pastore Mawarire non è l’unico movimento. Sempre sui social network si è diffuso l’hashtag #Tajamuka (rifiutiamo, in lingua shona) per contestare il Presidente Robert Mugabe, al potere dal 1980.
Le condizioni economiche dello Zimbabwe, un Paese un tempo chiamato «La Svizzera d’Africa» per la sua prosperità e la sua stabilità, sono peggiorate nell’ultimo decennio soprattutto da quando Mugabe ha confiscato le terre appartenenti ai discendenti dei coloni europei per assegnarle ai propri sostenitori con criteri clientelari, con il conseguente crollo della produzione.
La siccità che ha colpito la regione ha accentuato le difficoltà economiche mentre la corruzione appare fuori controllo, con la polizia che stabilisce posti di blocco illegali al solo fine di taglieggiare i passanti e gli automobilisti.
Sul piano finanziario infine da anni il Paese sperimenta altissimi tassi d’inflazione.