Il capo di Stato ugandese continuerà a essere quello di «sempre» anche per i prossimi cinque anni. I risultati delle elezioni presidenziali, tenutesi giovedì 18 febbraio, sono stati resi pubblici dal Presidente della Commissione Elettorale: Yoweri Kaguta Museveni ha sbaragliato i candidati dell’opposizione con il 60,7% (5.617.503 voti su un totale di 8.971.885 espressi), tre violazioni della Costituzione, trent’anni di potere alle spalle, 71 anni di età.
Il numero di consensi ottenuto dal principale avversario del partito al potere Nrm (National Resistance Movement) mostrano, ancora una volta, come l’opposizione fosse troppo frammentata e disorganica per poter raggiungere la maggioranza. Kizza Besigye, leader dell’Fdc (Forum for Democratic Change) è uscito infatti dalla tornata elettorale del 2016 con il 35,7% (3.270.290 voti). Il presidente del partito all’opposizione, il generale Mugisha Muntu, ha invitato la popolazione a condannare e rifiutare la vincita di Museveni perché «trattasi di una grande frode».
L’opposizione a Museveni era frammentata, ma il leader dell’Nrm ha comunque saputo giocare d’anticipo per assicurarsi la vincita, ricorrendo a qualsiasi mezzo, lecito e illecito che fosse. Brogli, censura e corruzione dei suoi principali alleati. Il giorno dopo le elezioni ha infatti provveduto a far arrestare il suo diretto rivale Kizza Besigye, sospettato di stare indagando sui brogli elettorali. Inoltre, dopo aver fatto aprire in ritardo i seggi nei quali sapeva che il leader dell’Fdc avrebbe ricevuto largo consenso, durante le ore di voto, Museveni ha fatto oscurare i social network per evitare passaggi di informazioni tra l’opposizione.
Per chi è ormai insofferente della corruzione del Governo e della povertà che dilaga, rimane un’unica speranza: che Museveni continui, perlomeno, a garantire pace e sicurezza a un Paese in cui incombe la minaccia del gruppo terroristico somalo al Shabaab.
Ma vi è anche chi non accetta i risultati delle elezioni. Agli scontri tra manifestanti e polizia che ci sono stati a Kampala sia prima che durante il voto, si sono aggiunti quelli post verdetto. Una fonte locale riferisce: «Si sono verificate manifestazioni di dissenso nei pressi del grande mercato centrale di Owino, nel cuore di Kampala». L’ipotesi di un colpo di stato pare comunque essere assai remota, vista la fedeltà dell’esercito Updf all’«Old Man», come viene chiamato Museveni (visti gli anni di carica presidenziale che sta accumulando).
I giochi di potere della regione dei Grandi Laghi sembrano quindi riconfermarsi gradualmente: Pierre Nkurunziza lo scorso luglio si è impossessato del terzo e anticostituzionale mandato in Burundi e, ora, Yoweri Museveni ha fatto lo stesso in Uganda. Entrambi attenti unicamente ai propri interessi e noncuranti delle esigenze e delle richieste dei propri popoli. Per completare il quadro rimangono Paul Kagame, il Presidente del Ruanda, che ha già dichiarato di ricandidarsi alle elezioni del 2017 e che a giugno del 2015 ha provveduto a indire un referendum per modificare il numero dei mandati previsti dalla Costituzione per ciascun presidente, e Joseph Kabila, capo di Stato della Repubblica Democratica del Congo, che si ripresenterà alle elezioni del prossimo novembre.
Non si può prevedere cosa succederà nelle strade di Kampala nelle prossime ore, quello che per ora è certo è che l’Uganda continuerà a essere governata da un uomo che, pochi giorni prima delle elezioni, ha dichiarato, in un dibattito pubblico, che «la Corte Penale Internazionale (Cpi) non è un tribunale serio e che l’Uganda deve uscirne».
Valentina G. Milani