Viaggio in Namibia nel deserto più antico del mondo: un mare di sabbia accarezzato da nebbie prodigiose. Sembra un luogo desolato e invivibile. Ma l’apparenza inganna. Nel cuore del Namib si scovano incredibili gemme di vita, piante e animali che si sono adattati alle condizioni più estreme. Non resta che avventurarsi sulle immense dune che si tuffano nell’oceano
Non servono tanti giri di parole quando la realtà da raccontare è così chiara, netta nelle forme e nei confini. La parola nama da cui questo deserto prende il nome significa “luogo vasto”, ed è già un modo di descrivere la fascia di 1300 chilometri di sabbie, le più antiche al mondo, dicono i geologi, e tra le più alte: imponenti baluardi davanti all’Oceano Atlantico. Un vasto letto di rocce metamorfiche scistose sormontato da uno strato più recente di calcari, sorregge un mare di dune, il più esteso in Africa – dopo il Sahara, ovviamente.
Slavine di sabbia
Anche se non mancano formazioni montuose, canyon e colline che sembrano disegnate dalla matita di Mordillo, sono le dune a giocare il ruolo di protagoniste assolute, in particolare quelle che si affacciano sull’oceano fra Walvis Bay e Swakopmund, talmente note da avere nomi o meglio numeri che le classificano in base alla posizione, l’altezza dal fondo piatto e la distanza da punti fissi. Dune e sabbie che per colore, dimensione e ripidezza del pendio sfidano lo sguardo e il desiderio di scalarle. Hanno nome e persino voce. Se i venti si sfidano per dare loro forme ardite e affilare le creste e cambiarne le forme, è frequente sentirle ruggire: masse di sabbia collassano come neve durante una slavina producendo un boato cupo che è frutto dello strisciare dei grani l’uno sull’altro nella discesa e dell’essere sospinti fuori dal mucchio da altri granelli di quarzo per ricadere subito dopo e continuare a rotolare in basso.
Il deserto per gran parte della sua estensione è inserito in un parco, il Namib Naukluft Park, la più grande riserva dell’Africa australe. A partire dagli inizi del Novecento, dalla zona del fiume Swakop, il territorio protetto è stato a mano a mano esteso fino a raggiungere i quasi 50.000 chilometri quadrati attuali. Un enorme vecchio deserto frutto dell’accordo di due fattori: una quasi permanente alta pressione e correnti di acqua oceanica gelida.
Il primo elemento provoca una tale scarsità di precipitazioni che si riflette nella quasi totale assenza di acqua superficiale, infatti i pochi uadi sono quasi sempre secchi e anche quando piove il loro corso è bloccato dalle dune, ragione per la quale si parla di oasi temporanee: sono formate dalle acque dei fiumi ingrossati dalle rare piogge e incapaci di sfondare lo sbarramento di sabbia e di trovare una via al mare.
Foschie vitali
L’interazione fra gli umidi e freddi venti oceanici, legati alla corrente del Benguela che proviene dalle regioni antartiche, e l’aria più calda e secca proveniente dal deserto provoca, soprattutto nelle prime ore del giorno, nebbie molto intense. È di questa infatti che vale la pena di parlare, perché di dune e sabbie si può dire anche per altri deserti, ma è la nebbia che fa del Namib il luogo che è. Gli stessi venti che allontanano le piogge creano le condizioni perché si formino le nebbie e le sospingono per decine di chilometri verso l’interno consentendo a diverse specie vegetali e animali di catturare microgoccioline di umidità attraverso raffinate soluzioni di relazione con l’ambiente.
Fra le specie vegetali più insolite si deve citare la Welwitschia mirabilis, le cui foglie sono nastri verdi che crescono continuamente dalla base, larghi fino a quasi mezzo metro e lunghi anche cinque, attorcigliati e deposti sul suolo, con le parti finali che progressivamente muoiono, si sfilacciano e diventano di colore marrone. È una strana pianta che condivide caratteristiche delle gimnosperme che producono pigne ma anche aspetti delle angiosperme che danno fiori. Insomma una sorta di antichissimo anello di congiunzione botanico. Ciò che rende tuttavia questi esemplari ancora più eccezionali è la veneranda età, che in molti casi supera i mille anni.
Lo stambecco delle dune
Se la botanica si esprime con tanta longevità, la zoologia sorprende con esemplari di rara bellezza e talmente abili nel gestire strategie di adattamento, non di sopravvivenza, che se immaginassimo di allontanarli dal deserto questi morirebbero. Tra volpi e sciacalli dalla schiena nera, è possibile avvistare proprio sulle dune una delle gazzelle più eleganti d’Africa: l’orice. Il suo vivere in armonia col deserto ha dell’incredibile: si nutre per lo più durante la notte per catturare l’umidità contenuta e depositata sulla superficie delle piante, pertanto non necessita di acqua a disposizione e urina assai di rado; la silhouette del muso con le dritte corna divergenti verso l’alto ne fa un simbolo non solo del Namib ma dello spirito dell’Africa tutta, capace, per via della struttura corporea e i larghi muscoli delle spalle, di correre a lungo, con grazia, sulle sabbie. Ma dobbiamo dire di più: se immaginassimo di ricavare una sezione trasversale dell’animale, ne risulterebbe una sagoma triangolare. Questa forma del corpo unita al colore chiaro del manto permette all’orice di esporre una superficie minore alla radiazione del sole quando è allo zenit.
Nemmeno le macchie bianche e nere sul muso e le zampe sono casuali, in quanto l’opposta reazione al calore agevola la circolazione sanguigna. Basta che una peluria d’erba spunti sulla superficie delle dune e non è più così raro avvistarlo. Chissà se la voce che vuole l’orice l’animale ispiratore dell’unicorno non sia verità…
Natura senza confini
Quella stessa nebbia preziosa per la vita di numerose specie viventi, ha condotto, nel suo aspetto più insidioso, varie imbarcazioni alla deriva, e dai numerosi relitti naufragati prende nome la Skeleton Coast, sinistra nel nome e nell’aspetto: una zona costiera dove vecchi scafi si susseguono come in un umido cimitero tra il frusciare delle onde e scricchiolii di legni ormai crepati e inzuppati di acque.
Alcuni di tali relitti si trovano oggi a poche decine di metri dalla costa, a testimonianza del fatto che il deserto sta lentamente espandendosi verso ovest avanzando su quello che prima era mare. In questo Paese d’Africa, la natura, non l’uomo, regna sovrana; una natura leopardiana, è vero, che poco o nulla concede all’agricoltura e impone massicce importazioni di beni di prima necessità dal Sudafrica. È un concentrato di liberi spazi e vastità. Anche Moravia era affascinato dalla bellezza di quest’Africa, inspiegabile, misteriosa, indicibile, una bellezza che «aleggia sul continente nero allo stesso modo dell’anima secondo i greci, cioè qualcosa di superficiale e di esterno e appunto per questo affascinante per la sensibilità che è il mezzo privilegiato di ogni visione estetica».
Questa bellezza per certo si coglie in tutta la sua estensione sorvolando il Namib con piccoli aeroplani che, dissoltasi la nebbia, seguono la cerniera tra schiuma e sabbia, sorvolano fondi gessosi bianchi come di neve e code di dune nervose come di serpente. Il cielo è il punto di vista privilegiato per godere del Namib. Da lassù puoi davvero apprezzare i golfi dunari che accolgono il blu, la sconfinata scarpata spalleggiata da un mare di dune e le schiume che bordano una inarrestabile sequenza di onde. Per ogni virata cambia la sequenza, e cresce lo stupore.
Foreste fossili
Attingo nuovamente alla lingua nama per tentare di raccontare uno dei luoghi che più sfugge alle descrizioni, perché vuoto o quasi. La semplicità dell’etimologia dice più di tante parole: sossus significa “luogo in cui l’acqua si raccoglie”, e vlei è termine sudafricano che rimanda a un luogo cavo che viene riempito dalle acque durante la stagione delle piogge. L’area di Sossusvlei si apre tra le dune e lascia intuire che in passato la zona era regolarmente inondata dalle acque, ragione per cui in alcune zone si sono accumulati depositi di limo che hanno originato le bianchissime pan (depressioni saline). Nel corso del tempo, le dune hanno invaso gran parte del fondo lasciando scoperte alcune zone che restano miracolosamente libere, pur essendo circondate da montagne di sabbia, grazie ai venti favorevoli. Tra i tanti vlei, quello che lascia senza fiato anche il più accanito fotografo e amante della natura è Daedvlei. Il termine fa riferimento ai neri tronchi di acacia che punteggiano il paesaggio, relitti di un’epoca in cui l’acqua era abbondante e la vegetazione prosperava. Sono come pietrificati e spiccano tra il bianco del suolo e il rosso intenso della sabbia che fa da sfondo. La contemplazione è l’unica mossa che si addica a questo luogo che i deboli venti, l’aria secca e l’assenza di insetti e microrganismi conservano intatto da almeno seicento anni. A osservare le forme degli alberi spogli, sembra che la pioggia invocata debba scendere da un momento all’altro.
(Elena Dak)
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 3/2020 di Africa. Puoi acquistare la copia cartacea cliccando qui
IL VIAGGIO
DOCUMENTI I cittadini italiani possono entrare in Namibia senza visto e trattenersi nel Paese per 90 giorni. È sufficiente possedere il passaporto con una validità residua di almeno sei mesi al momento dell’arrivo nel Paese.
SALUTE Non è richiesta alcuna vaccinazione obbligatoria.
QUANDO ANDARE La Namibia può essere visitata in ogni periodo dell’anno, tuttavia la stagione invernale (da maggio a ottobre) è quella più piacevole.
VALUTA La valuta corrente è il dollaro namibiano. 1 euro vale quasi 20 namibian dollars. Le carte di credito Visa, Diners Club, American Express e Master Card sono generalmente accettate dappertutto.
BAGAGLIO Prevedete un abbigliamento comodo e leggero. L’inverno è normalmente mite, è quindi utile portare abiti estivi, shorts, jeans, alcune maglie leggere, e inoltre un caldo pullover e una giacca a vento per la mattina e per la notte, quando la temperatura si abbassa notevolmente.
FUSO ORARIO Rispetto all’ora solare in Italia, è di +1 ora; quando in Italia vige l’ora legale non vi è differenza d’orario.
LINGUA UFFICIALE Le lingue ufficiali sono l’inglese e l’afrikaans, ma anche il tedesco è largamente diffuso.