Osservando una cartina della Namibia, vedrete un lungo e sottile braccio di terra che dalle estreme propaggini settentrionali si estende verso est. Quella strana protuberanza, che pare quasi volersi staccare dal resto del Paese, è il Dito di Caprivi. Si tratta di una spina lunga 450 chilometri e larga appena 35 che si insinua tra le frontiere di Zambia, Botswana, Zimbabwe e Angola.
Il Dito di Caprivi fu creato a tavolino dalle potenze europee il 1° luglio del 1890: consentì alla Germania di acquisire per la propria colonia dell’Africa del Sud-Ovest – l’attuale Namibia – lo strategico accesso alle acque dello Zambesi (il territorio prese il nome del cancelliere tedesco Georg Leo Graf von Caprivi).
Oggi questa regione è abitata da circa centomila persone che poggiano la loro povera economia sulla pastorizia e sull’agricoltura di sussistenza. Il territorio alterna fiumi e acquitrini a zone ricoperte da boscaglie e savane. La natura è esuberante, i panorami mozzafiato. Un tesoro nascosto tra le pieghe delle mappe. Adagiato sulle rive dello Zambesi, il capoluogo Katima Mulilo, è l’ingresso alle principali attrazioni della regione: l’isola Mpalila e la Khaudom Game Reserve, i parchi nazionali di Bwabwata (un misto di foresta fluviale e pascoli popolati) e Nkasa Rupara (paludi e praterie) popolati da bufali, elefanti, leoni, leopardi, licaoni, zibellini, giraffe, impala, kudu e zebre.
Da consigliare agli amanti del birdwatching per l’eccezionale concentrazione di avifauna (oltre 400 specie registrate, tra cui la garzetta ardesia, la ghiandaia marina coda a racchetta e il cucal nerastro). Pochi turisti hanno la curiosità di esplorare il Dito, ed è un vero peccato. Perché Caprivi resta un angolo remoto di Africa che sa conquistare per la sua tranquillità, il suo fascino selvaggio, l’atmosfera unica di una frontiera che, anziché imbrigliare l’uomo, ne libera lo spirito.
(Marco Trovato)