Le relazioni tra Mosca e il continente africano hanno trovato, dopo anni di raffreddamento, nuova linfa all’inizio del secondo decennio degli anni 2000. Una presenza tutt’altro che disinteressata, volta a riaffermare in maniera imponente lo spessore della potenza internazionale russa. In Africa la Russia deve però fare i conti con la debolezza finanziaria, e con l’ingombrante presenza della Cina.
di Gabriele Mele
A differenza di molti Paesi europei che durante la cosiddetta “scramble for Africa” di fine Ottocento instaurarono un insieme composito quanto ampio di colonie e protettorati, l’impero zarista rimase sostanzialmente inerte in Africa.
Successivamente, l’URSS prima e la Federazione Russa poi, iniziarono durante la Guerra Fredda a tessere fitte relazioni con le neocostituite nazioni africane, seguendo una triplice direttrice: riuscire ad ottenere una presenza duratura nel continente; contrastare l’influenza occidentale; ed infine impedire alla Cina comunista di sviluppare una propria presenza di valenza concorrente a Mosca.
Questi legami erano caratterizzati da una matrice di mutuo interesse, con Mosca che da un lato importava materie prime, dall’altro esportava know-how tecnico-scientifico ed armamentari militari.
In seguito all’implosione dell’Unione Sovietica, si verificò un drammatico declino nella mole delle sue esportazioni, che durò per circa un decennio prima di essere invertito a partire dagli anni Duemila.
Oggi, dopo un decennio di sostanziale assenza dallo scacchiere africano, Mosca sembra assolutamente pronta ad avere nuovamente un ruolo di primo piano con il nuovo modus operandi di Putin, improntato ad un fervore intraprendente nello scenario geopolitico mondiale.
Una nuova strategia
Il “Grand Tour” nel continente africano compiuto da Medvedev (dal 7 maggio 2008 al 7 maggio 2012 presidente della Federazione Russa) nel 2009 ha palesato un turning point per la nuova strategia del Cremlino nella regione che sarebbe culminato dopo un decennio nel meeting internazionale di Sochi tra la Federazione Russa e le 54 nazioni africane.
Una strategia di più ampio respiro: a partire dal 2014, dopol’annessione della Crimea e con il significativo intervento in Siria dell’anno successivo, la Federazione Russa ha deciso di riaffermare in maniera marcata il proprio ruolo di potenza internazionale.
Non deve essere sottovalutato in questo senso il fatto che i Paesi africani compongano più di un quarto degli Stati membri delle Nazioni Unite e rappresentino il più grande blocco regionale. Ne consegue che, spesso e volentieri, votino in maniera compatta in numerosi consessi internazionali. Inoltre, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un celere aumento della popolazione africana e secondo le previsioni fornite dalle Nazioni Unite entro il 2050 i cittadini africani rappresenteranno il 25% della popolazione globale (ovvero quasi 2,4 miliardi di persone).
Se ciò non bastasse a considerare le mire di Mosca sul continente, a differenza di altre aree del mondo all’interno delle quali le risorse naturali sono in forte diminuzione, l’ultimo decennio ha visto emergere l’Africa Sub-sahariana come una delle maggiori fornitrici mondiali di materie prime. Nonostante le smisurate risorse minerarie russe, Mosca appare carente di elementi quali cromo, manganese, mercurio e si accinge a esaurire anche rame, stagno, nichel e zinco. È, inoltre, fortemente interessata all’estrazione di cobalto e coltan, imprescindibili per lo sviluppo tecnologico.
Le mani sul Continente
Tramite la fornitura di attrezzature militari Mosca ha espanso la propria influenza in numerose aree strategiche del continente africano. Infatti, secondo l’Istituto Internazionale di Pace di Stoccolma, la Federazione Russa è la principale fornitrice di armi in Africa (37,6%), seguita da Cina (17%), Stati Uniti (9,6%) e Francia (6,9%). L’esportazione di armi è un fattore assolutamente imprescindibile per la crescita dell’economia russa, in perenne stagnazione a causa delle continue sanzioni occidentali approvate dopo l’affaire Crimea, ed anche per il crollo globale del prezzo del petrolio provocato dalla pandemia globale.
Attualmente le esportazioni di armi e altre attrezzature militari verso l’Africa fruttano un indotto 4,6 miliardi di dollari annui. A partire dal 2015, Mosca ha infatti siglato degli accordi di cooperazione militare con 21 Paesi in Africa. Tra le varie clausole sono previste forme di collaborazione tra cui l’accesso ai porti marittimi e alle basi aeree africane, l’addestramento militare per gli ufficiali africani e la presenza di consiglieri militari russi all’interno dell’organigramma dell’apparato strategico governativo.
In particolare, il Cremlino ha chiesto l’autorizzazione per la costruzione di basi militari in sei Paesi: la Repubblica Centrafricana, l’Eritrea, l’Egitto, il Madagascar, il Mozambico e il Sudan. Questo fattore ha una valenza fondamentale per la Federazione Russa, che necessita di espandere le proprie basi navali oltre quelle già controllate in Siria.
Recentemente Mosca aveva quasi raggiunto questo obiettivo, senza riuscirci, unicamente in Eritrea, dove sono presenti basi navali gestite dalle nazioni più strutturate militarmente tra cui Stati Uniti, Cina, Arabia Saudita e Turchia, con cui nel 2018 aveva firmato un accordo preliminare volto alla creazione di una base logistica nel porto di Assab. In questo modo Mosca potrebbe proiettarsi verso il Mar Rosso, il Golfo di Aden e l’Oceano Indiano occidentale. Non è un caso che nel settembre 2018, a Sochi, una delegazione diplomatica eritrea guidata dal ministro degli esteri Osman Saleh abbia incontrato l’omologo russo Sergey Lavrov. In questa sede le parti avevano raggiunto un’intesa di massima successivamente non finalizzata concretamente.
Tra le partnerships russe maggiormente rilevanti in terra africana deve essere sicuramente rimarcata quella con la Repubblica Centrafricana, alla quale nel marzo 2018, il Cremlino ha fornito armi ed ha inviato centosettanta istruttori civili e cinque ufficiali in maniera tale da poter riordinare le forze armate centroafricane con dei programmi di addestramento organizzati da alcune compagnie militari private come il Gruppo Wagner ed Patriot fortemente legate a Mosca.
Inoltre, la Rosatom, impresa russa che rappresenta un assoluto colosso mondiale dell’energia nucleare, nel 2017 ha firmato un memorandum d’intesa relativamente alla cooperazione per gli usi pacifici dell’energia atomica con l’Uganda e l’Etiopia.
Per molti Paesi africani questa rinnovata cooperazione con la Federazione Russa potrebbe determinare numerosi risvolti, primo fra tutti consentirebbe la diversificazione delle relazioni estere, riducendo la fortissima dipendenza dagli investimenti cinesi.
La sfida al dominio cinese
D’altro canto, il forte interesse militare non trova una pedissequa corrispondenza negli scambi a livello commerciale, dato che il ruolo di Mosca nel mercato del continente africano risulta ancora marginale e non in grado di poter intaccare l’egemonia cinese. Tuttavia, si segnala un incremento del commercio della Federazione Russa con il blocco africano: ne è un segnale il fatto che l’export russo verso l’Africa sia cresciuto dell’84% (pre-Covid).
Nonostante gli sforzi fatti finora, però, il volume degli scambi commerciali tra il continente africano e la Federazione Russa è ancora esiguo e rappresenta solo il 2% del commercio internazionale africano secondo studi dell’ITC (International Trade Center).
Il ruolo secondario nel settore economico è dovuto alla sostanziale arretratezza economica della Federazione Russa, specialmente se comparata alle dirompenti potenzialità economiche dei suoi competitors: U.E., U.S.A. e appunto Repubblica Popolare Cinese.
La percentuale è ancora più esigua guardando a Mosca come partner di investimento per i Paesi africani. Secondo le stime dell’UNCTAD, la Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e sullo Sviluppo, meno dell’1% del totale degli investimenti diretti esteri ha avuto origine dalla Federazione Russa.
A livello complessivo i suoi commerci (circa $20 miliardi all’anno) corrispondono ad un decimo di quelli cinesi e riguardano l’export di armi e di grano. D’altro canto, Pechino ha mostrato tutta la sua potenza finanziaria l’anno scorso offrendo $60 miliardi agli Stati africani per sostenerne gli scambi commerciali attuando così, secondo numerosi analisti internazionali, delle pratiche “neocoloniali” ed imponendo delle clausole vessatorie che stanno conducendo alla cosiddetta “trappola del debito”.
In quest’ottica deve essere letto il Forum economico del 23-24 ottobre 2019, svoltosi a Sochi e presieduto dal presidente russo Vladimir Putin e dal presidente di turno dell’Unione Africana, l’egiziano Abdel Fattah al-Sisi. Si è trattato di un evento senza precedenti nella storia delle relazioni russo-africane in termini di numeri e partecipazione. Secondo le stime ufficiali hanno partecipato più di seimila persone partecipanti e 1.900 membri di delegazioni internazionali. In occasione del forum i 54 Paesi africani sono stati rappresentati ufficialmente, 45 direttamente dai capi di Stato.
La Cina sembra insomma fare ancora la parte del dragone monopolizzante, ma Mosca affila le armi: a quasi 150 anni dal Congresso di Berlino, il Continente africano resta ancora una terra di conquista per Potenze vecchie e nuove.
(Gabriele Mele, AMIStaDeS)
Bibliografia e sitografia
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www.africarivista.it/luci-e-ombre-della-cina-in-africa-cooperazione-o-neocolonialismo/180806/
www.cesi-italia.org/eventi/869/russia-in-africa-per-dimostrare-di-essere-una-potenza-globale
www.geopolitica.info/la-strategia-russa-in-africa-tra-interessi-militari-e-materie-prime/
www.geopolitica.info/gli-interessi-del-cremlino-in-africa-ragioni-e-motivazioni-alla-base-della-presenza-delle-pmcs-russe-nel-continente/
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www.ilsole24ore.com/art/cina-e-russia-partita-africana-decisiva-lo-scenario-futuro-AC02Nc6
www.ispionline.it/it/pubblicazione/mosca-tenta-il-rilancio-africa-24393
.policymakermag.it/dal-mondo/forum-russia-africa-gli-interessi-di-putin-nel-continente/