La regione attorno al Lago Turkana è spazzata da venti costanti che le autorità di Nairobi hanno deciso di sfruttare per produrre energia rinnovabile. Nessuno si è preoccupato di consultare le popolazioni locali. Che ora reclamano le terre degli antenati.
Sulle desolate rive del Lago Turkana, in Kenya, ho eretto migliaia di muretti in lava per tenere lontano il vento mentre dormivo sotto le stelle. Dopo un mese di marcia, arrivare tra le mura di una casa nel villaggio di Loiyangalani dava una sensazione strana alle orecchie: dov’era finito il vento-che-non-smette-mai? Gli scienziati lo chiamano Turkana Low Level Jet, due correnti ventose che confluiscono producendo a bassa quota un flusso costante a 11 m/sec. Così è nato nel 2005 il Lake Turkana Wind Power (Ltwp), un progetto di 353 turbine eoliche, ciascuna con una capacità di 850 kW, per una produzione complessiva di 300 MW l’anno, da piazzare entro la fine del 2017 (la metà sono già completate) dalle parti di Sirima, vicino a Loiyangalani. Il costo si aggira sui 750 milioni di euro e comprende il cablaggio verso sud e la rete stradale migliorata, per finire con le compensazioni all’occidentale (pozzi, scuole, ospedali) che cantano la solita melodia: chi pagherà in futuro i costi di medicine, infermieri, maestri?
Come fantasmi
A Sirima ci andavo, a piedi e controvento, per studiare i graffiti rupestri di 3000 anni fa (giraffe per attirare una pioggia che non venne mai) e osservare l’abbeverata dei pastori tra il basalto colonnare. Oggi ci sono buffe garitte per sentinelle e abbozzi di modernità in mezzo a una selva di pali altissimi, bianchi. I pascoli dei pastori sono in gran parte spianati. Nel novembre 2016, un giudice dell’Alta Corte di Meru si è rifiutato di bloccare i lavori su istanza dei residenti, in causa per l’incorretta acquisizione del terreno. Le popolazioni locali dovranno attendere l’arbitrato della Contea di Marsabit per riappropriarsi della terra su cui i loro antenati hanno pascolato dromedari, vacche e ovini. Sempre che ci riescano, il che è improbabile dal momento che il Kenya deve alimentare il suo tasso di sviluppo con energia, rinnovabile o meno. Se il vento produce energia, va considerato una risorsa negoziabile a livello internazionale, come il petrolio e l’acqua, e dovrebbe fornire un adeguato ritorno alle comunità locali.
In questo caso, la determinazione della proprietà della terra è connessa al concetto di “popolazione indigena”. La questione di chi sia una persona indigena è controversa, al punto che Ltwp valida il suo land grabbing con il fatto che né i Rendille né i Samburu, né tantomeno i Turkana, possano essere considerati “indigeni”. La definizione di un gruppo umano, autoprodotta nella memoria collettiva, è un fantasma scientifico irrisolvibile: le occupazioni territoriali sono stratificate nella storia di Homo sapiens, e l’ultimo proprietario delle terre, in termini legali, è lo Stato.
Equilibri saltati
Il ricercatore keniano Abdikadir Kurewa ha condotto uno studio sul campo del 2016: «I Turkana reclamano la terra per diritto di occupazione, avendo vissuto nell’area per generazioni – spiega –. I Rendille proclamano questa come la loro terra ancestrale, via di transumanza per i dromedari e punto chiave per la cerimonia di iniziazione gaalgulame. I Samburu affermano che il clan Longeli ha diritti sui pozzi di Sirima…».
Nessuna di queste rivendicazioni è stata accolta dagli investitori del Parco eolico: «I pastori nomadi hanno diritti consuetudinari – fanno sapere gli avvocati del consorzio –. Tuttavia non hanno alcun diritto legale riconoscibile, al di là dell’utilizzo della terra; e pertanto non hanno i requisiti per la compensazione», hanno chiarito fregandosene dei diritti internazionali sanciti dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei Popoli indigeni (Undrip). A Sirima sono saltati equilibri ancestrali e ora si rischiano conflitti tra le comunità. Già nel maggio 2015 si sono verificati razzie e attacchi reciproci nei dintorni dell’impianto. Le popolazioni precoloniali dell’area avevano confini linguistici, culturali o commerciali che si sovrapponevano: zone grigie, porose e negoziabili. Dopo la formazione all’europea degli Stati africani, il conseguente quadro legale sostiene la sottomissione del diritto consuetudinario alla legge scritta. Di conseguenza, i proprietari indigeni posseggono terre “vuote”, incerte e disputate.
Consenso informato
Il meccanismo che avrebbe dovuto controllare il rapporto tra popolazioni locali e investitori è il Free Prior & Informed Consent, il libero consenso informato che, secondo le convenzioni internazionali, dovrebbe essere obbligatorio per ogni progetto di sviluppo. Se il sottosviluppo può essere assimilato a una malattia, allora il consenso informato deve chiarire i punti negativi della cura. Nessuno vuole tenere l’Africa al buio, ma una foresta di pale eoliche deforma il panorama fisico, economico e culturale dei pastori attorno al Lago Turkana. Lendany, un anziano samburu, dice: «Io non c’entro, la terra era già stata data via. Se mi avessero consultato, non lo avrei mai permesso. Sirima ha uno scopo: quando piove, è qui che veniamo». E voi pensate davvero che i miti erediteranno la Terra? Il vecchio se n’è andato tra la lava. Dietro di lui è rimasto un ragazzino che imbracciava un kalashnikov.
(di Alberto Salza, antropologo, che ha lavorato a lungo sulle rive del Lago Turkana)