Oggi vi presentiamo due titoli drammatici distribuiti da Netflix: “La dona il·legal”, un film spagnolo che ha per protagonista una donna nigeriana in balia di una rete di corruzione e “I Am All Girls”, basato su fatti realmente verificatesi nel Sudafrica degli anni ’80, in piena apartheid, che fa luce su un fenomeno tragico purtroppo molto attuale, quello del traffico di minori.
di Annamaria Gallone
“La dona il·legal“ non è un film africano, bensì spagnolo, ma ve lo segnalo ugualmente perché la protagonista è una ragazza africana e il dramma si svolge in gran parte in un CIE, uno dei terribili campi di detenzione dei clandestini in attesa di essere rinviati nei loro Paesi di provenienza, campi che esistono purtroppo in molti Stati europei. La dona il-legal è visibile su Netflix e la storia è quella di un avvocato per l’immigrazione e di una donna nigeriana in balia di una rete di corruzione, che cercano di scoprire la verità su una morte sospetta in un centro di detenzione. L’uomo cerca con grande sensibilità di aiutare i casi difficili e dolorosi che si susseguono nel suo ufficio. La sua tristezza è profonda non solo per i problemi umani che tenta di risolvere, ma per la malattia inguaribile di sua moglie che gli chiede di aiutarla a morire. La donna che lo aiuta riassume nel suo personaggio la tragedia di tutta le prostitute prigioniere delle loro illusioni tradite e costrette a pesanti compromessi per non essere uccise.
Un film toccante, che vale la pena di essere visto.
Il secondo film di cui vi voglio parlare, “I Am All Girls“, produzione Netflix, è altrettanto drammatico ed è basato su una storia vera: il caso è quello di Gert van Rooyen, (nel film il suo nome è stato modificato in Gert de Jager), nato in Sudafrica l’11 aprile 1938, pedofilo e serial killer che avrebbe rapito otto giovani ragazze tra il 1988 e il 1989. Lui e il suo complice, Joey Haarhoff, sono stati accusati dalle autorità di aver rapito e ucciso molte altre ragazze di età compresa tra i nove e i sedici anni. La loro ultima vittima, Joan Booysen, riuscì però a scappare e allertare la polizia. Poco dopo aver scoperto che la ragazza era scappata, Rooyen uccise il suo complice e si suicidò il 15 gennaio 1990. Il destino delle ragazze scomparse rimane tuttora avvolto nel mistero: non sono mai stati ritrovati i loro resti, né ci sono altri indizi. Il figlio di van Rooyen ha dichiarato che tre ex ministri del Partito Nazionale erano coinvolti in un giro di traffico di bambini insieme a suo padre. Ha rivelato inoltre che molte delle ragazze scomparse venivano portate e vendute in Medio Oriente in cambio di petrolio, per aggirare le sanzioni. Quando gli sceicchi si stufavano di loro, le uccidevano o le rimandavano in Sudafrica a prostituirsi nei bordelli. Nel film, diretto dal sudafricano Donovan Marsh, arrivato alla sua sesta regia, è lo stesso criminale a svelare alle autorità l’orribile traffico e viene ucciso il giorno dopo aver rivelato il nome di un ministro. Il merito dell’opera è di aver fatto luce per la prima volta su fatti realmente verificatesi nel Sudafrica degli anni ’80, in piena apartheid, ma anche su un fenomeno tragico purtroppo molto attuale, quello del traffico di minori.
All’inizio del film, in un breve prologo ambientato nel 1994, vediamo la sagoma di un una donna incappucciata che esamina la vecchia registrazione di un interrogatorio. Nel video, un uomo confessa alla polizia di aver contribuito al rapimento di sei bambine mai ritrovate, spiegando non solo che le bambine erano molte di più, ma anche che a tirare i fili dell’operazione vi erano grandi esponenti del Partito Nazionale. Poi la narrazione passa ai giorni nostri con la detective Jodie Snyman (Erica Wessels), appassionata e coraggiosa, che si trova coinvolta a lavorare nel caso, da tempo archiviato, dopo che il corpo senza vita di un uomo è stato rinvenuto con incise sulla sua pelle le iniziali del nome di una delle sei bambine scomparse. Si capisce che qualcuno sta cercando di fare giustizia per quanto accaduto anni prima, uccidendo brutalmente le persone implicate nel traffico delle minorenni. A Jodie si affianca Ntombizonke (Hlubi Mboya); le protagoniste sono due donne agli antipodi costrette a lottare contro i loro “oscuri segreti”, ma legate da un fine comune: fare giustizia. Una delle bambine rapite è riuscita a sopravvivere ai suoi aguzzini e torna, dopo vent’anni, per vendicarsi indossando i panni di una giustiziera della notte ed eliminando uno alla volta tutti coloro che avevano preso parte al loro rapimento.
I fatti, romanzati, si trasformano in un poliziesco cupo dalle tinte crime e mistery poiché il regista ha cercato un possibile equilibrio tra il cinema di genere e il cinema di denuncia. Questo va a discapito di un film che sarebbe stato validissimo anche senza le sequenze ad effetto, affrontando un tema molto delicato. I Am All Girls tiene comunque con il fiato sospeso, con un buon ritmo, colpi di scena e momenti di forte impatto emotivo come quello della scoperta delle ragazzine nel container.
La morale del film è comunque molto triste: a vincere non è la giustizia, ma la vendetta.
L’autrice dell’articolo, Annamaria Gallone, tra le massime esperte di cinema africano, terrà a Milano il 16 e 17 Ottobre 2021 il seminario “Schermi d’Africa” dedicato alla cinematografia africana. Per il programma e le iscrizioni clicca qui
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