Niger, a un anno dal golpe, tra festeggiamenti e criticità

di Enrico Casale

La giunta al potere in Niger ha decretato il 26 luglio giorno festivo, per “commemorare, ogni anno, le azioni altamente patriottiche del popolo del Niger per l’affermazione della sua sovranità e indipendenza”, secondo il testo firmato dal generale Abdourahamane Tiani, presidente del Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (Cnsp). Per il primo anno di questo evento, venerdì sono previste diverse attività culturali e artistiche sia a Niamey che in altre città del Paese.

La giornata segna l’anniversario del colpo di stato militare che ha rovesciato il presidente Mohamed Bazoum e le istituzioni della Repubblica, il 26 luglio 2023. Segna l’avvento al potere del Cnsp, che ha letteralmente rimodellato il panorama politico, non solo nazionale, ma anche internazionale.

La svolta in Niger è ormai irreversibile. Se per settimane, addirittura mesi, alcune diplomazie tra cui quella europea, avevano sperato in una conciliazione, una trattativa, per il ritorno di istituzioni democratiche, Niamey ha proseguito dritto verso l’emancipazione da un sistema che, a detta dei golpisti e di numerosi esponenti della società civile, sottometteva i nigerini agli interessi di potenze straniere, in particolare la Francia, antico colonizzatore. I golpisti si sono dati un volto civile con un esecutivo guidato dall’economista Ali Lamine Zeine, mentre il presidente rovesciato, Mohamed Bazoum, che ha sempre rifiutato di firmare le dimissioni, vive da un anno agli arresti domiciliari. Una Corte creata dal regime militare ha tolto l’immunità a Bazoum, che il nuovo regime vuole processare per tradimento.

Forte dell’unione con i due regimi golpisti adiacenti, quelli del Mali e del Burkina Faso, Niamey ha costretto i contingenti militari francesi e poi statunitensi a lasciare il Paese, denunciando accordi militari che, secondo la giunta, erano opachi e irregolari, oltre a non aver portato a un reale miglioramento della sicurezza. Hanno sancito anche la rottura con il blocco della Comunità economica dell’Africa occidentale (Ecowas) e la creazione della Confederazione degli Stati del Sahel, con Bamako e Ouagadougou. Stesso ragionamento con i contratti minerari, che finora concedevano la fetta più significativa agli investitori con scarse ricadute per i nigerini.

Mentre alcune diplomazie europee e africane hanno preso le distanze dalla giunta golpista, la diplomazia economica segue un altro percorso e non guarda ai dettagli: Fmi e Banca Mondiale hanno pienamente ripreso il sostegno finanziario a Niamey, facendo segnare un goal decisivo al nuovo regime.

La giunta gode di sostegno popolare, è innegabile, in quanto personifica “l’idea di sovranità, rivista, tradotta e applicata in questi mesi, motivante di una parte della società civile e del popolo stesso. Anni di frustrazione, di svendita del Paese all’Occidente e di violazione dei dettati costituzionali in particolare nell’ultimo decennio, hanno facilitato il processo di dissoluzione delle istituzioni”, spiegava ad aprile Padre Mauro Armanino, missionario italiano a Niamey, in una delle sue consuete lettere.

Ma, come fa notare Armanino, il regime finora “ha operato le scelte senza che la tanto decantata sovranità del popolo sia stata presa in considerazione”. In una recente intervista a InfoAfrica, un esponente di Transparency International Niger ricordava che le attività dei partiti politici sono interrotte, mentre si assiste a una progressiva autocensura da parte della stampa e degli attivisti, conseguente al ritorno di una legge repressiva sulla libertà di parola. L’adozione di alcune disposizioni sull’esenzione di controllo finanziario su alcune spese pubbliche fa temere derive sull’impiego dei fondi pubblici.

Nei commenti dei lettori alla notizia della proclamazione del 26 luglio giorno festivo, sul sito di attualità ActuNiger, agli elogi di questo nuovo “indipendance day” si affiancano anche aspre critiche, sotto copertura di pseudonimi.

“La data del 26 luglio segna la celebrazione della follia di un piccolo gruppo di nigerini che hanno deciso di prendere in ostaggio un presidente eletto, sua moglie e suo figlio, per usarli come baluardo per proteggersi da qualsiasi intervento dell’esercito repubblicano, con l’obiettivo di beneficiare dei proventi della vendita del petrolio. Questa data è quella del crimine, della viltà, dell’abiezione (…). In un momento in cui le famiglie sono in lutto per la demenza di altri concittadini, è semplicemente scandaloso festeggiare”, scrive “Sanda”. Per “Waly”, l’anniversario segna “il giorno del collasso e del collasso del Niger come nazione. La fine dello Stato, la distruzione delle conquiste e delle relazioni internazionali dello Stato”. Altri lettori si soffermano sul populismo di un ennesimo giorno festivo, il tredicesimo all’anno, a beneficio principale dei funzionari. Non saranno certo i contadini o gli allevatori a godersi il riposo. Una massa silenziosa che nell’anonimato lotta per la propria sopravvivenza e un’utopica sicurezza alimentare.

Ma, appunto, non mancano nemmeno i sostenitori del nuovo corso, secondo cui la situazione è migliorata, benché sul fronte della sicurezza ci sia ancora tanto da fare. E su questo punto, fonti di InfoAfrica che preferiscono mantenere l’anonimato, sostengono che le difficoltà nel ripristinare condizioni di sicurezza decenti dipendono anche dalla mancanza di armi determinata dall’Occidente. Un fattore, questo, che potrebbe essere risolto grazie ad altri Paesi, Russia in particolare.

Céline Camoin

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