Sotto l’influenza di gruppi armati operanti dalla Nigeria, il banditismo organizzato e violento si sta gradualmente diffondendo nel sud-ovest del Niger, creando un contesto favorevole all’emergere di insurrezioni armate: lo scrive, lanciando l’allarme nel suo report 301 dedicato all’Africa, l’Intenational crisis group (Icg), che si definisce un’organizzazione indipendente che lavora per “prevenire le guerre e definire politiche che costruiranno un mondo più pacifico”. L’Icg ricorda che le tensioni locali sono spesso sfruttate da gruppi jihadisti “la cui presenza in questo spazio è ormai una realtà”.
Lungo una striscia di confine che si estende dalle città nigerine di Maradi a Dogondoutchi (o Doutchi), gruppi di banditi armati rubano intere mandrie di bestiame e rapiscono centinaia di abitanti dei villaggi, riferisce l’Icg. “Molti dei loro membri sono spinti dall’avidità, ma altri – soprattutto nomadi vittime della crisi della pastorizia – prendono le armi per difendere le loro proprietà e le loro famiglie o per vendicarsi di ingiustizie. Di conseguenza, le altre comunità, soprattutto quelle sedentarie, costituiscono gruppi di autodifesa ancora embrionali. Questo contesto porta i semi delle condizioni per un contesto insurrezionale che i jihadisti potrebbero sfruttare”, mette in guardia l’organizzazione.
Le autorità nigerine stanno mobilitando il loro apparato di sicurezza per rispondere a queste nuove minacce. L’Icg suggerisce che debbano anche agire in modo preventivo per limitare la tentazione degli abitanti di queste regioni, in particolare degli allevatori esposti a una crisi pastorale che li impoverisce, di imbracciare le armi e considerare il processo di smobilitazione dei banditi.
Il rapporto ricorda che il banditismo transfrontaliero non è un fenomeno nuovo lungo la striscia da Maradi a Doutchi. “Per diversi decenni ha dato vita a reti criminali organizzate che si sono trasformate all’inizio degli anni 2010, sotto l’effetto di dinamiche esterne”. In Libia, dalla crisi del 2011, “l’economia di guerra ha ruotato intorno alla tratta, che ha facilitato e amplificato i flussi illegali (carburante di contrabbando, droga) dalla Nigeria”. Nella direzione opposta – dicono ancora gli analisti – un flusso di armi da guerra provenienti dalle scorte dell’era di Gheddafi sta rifornendo i gruppi criminali nigeriani e nigerini dalla Libia. “Queste bande, concentrate negli stati settentrionali della Nigeria negli anni 2010, hanno raddoppiato la loro violenza e si sono specializzate in furti di greggi, rapimenti e omicidi mirati. Questa violenza è stata esportata dal lato nigeriano del confine, a Maradi dal 2016, quindi a Tahoua nel 2019. Questi banditi armati, collegati a reti coinvolte nell’economia criminale transfrontaliera, reclutano da tutte le comunità della regione (hausa, tuareg o fulani/peul).
L’Icg mette ancora in guardia: “la dimensione comunitaria del banditismo minaccia la coesione sociale del Niger sud-occidentale, come già minata nel nord-ovest della Nigeria. Le popolazioni sedentarie associano progressivamente i banditi alla comunità fulani”, che costituisce la maggioranza delle popolazioni nomadi dell’area, sempre più stigmatizzata. Per proteggersi dal banditismo, nella regione di Maradi si stanno formando prevalentemente gruppi di autodifesa hausa. Esclusi da questi gruppi e da loro sospettati di essere all’origine di violenze armate, i pastori – in particolare i fulani – sono spinti ad avvicinarsi a gruppi di banditi per trovare una qualche forma di protezione.
“Il rischio che si sviluppi un’insurrezione, cioè un’ostilità aperta e armata contro lo Stato, è tanto più importante in quanto la regione suscita l’interesse crescente dei gruppi jihadisti del Sahel e della Nigeria nord-orientale. L’incrocio tra jihadisti e banditi locali è già stato osservato altrove nel Sahel e potrebbe ripetersi in quest’area”.
L’International crisis group ritiene che per prevenire l’emergere di insurrezioni in quest’area, è essenziale ridurre le ingiustizie subite dai pastori e preservare la coesione sociale. Il nuovo presidente del Niger, Mohamed Bazoum, dovrebbe quindi fare dell’allevamento un’area prioritaria di intervento. I pastori, in particolare, dovrebbero essere meglio rappresentati nelle commissioni fondiarie e avere più intermediari per difendere i loro diritti. Sarebbero quindi incoraggiati a usare la legge piuttosto che la forza.
(Céline Camoin)