di Céline Camoin
Ha davvero avuto effetti benefici sulla lotta al traffico dei migranti la legge 36 del 2015, adottata dal parlamento a maggio dello stesso anno, redatta con il sostegno finanziaria dell’Italia e della Danimarca? La risposta del Border Forensics, in un rapporto appena pubblicato, indica il contrario.
“La narrativa della ‘missione compiuta’ diffusa dal governo nigerino e dai suoi partner internazionali ha messo in avanti il sedicente successo della legge 2015-36 sul traffico illecito di migranti e la sua attuazione per ridurre il numero di migranti in transito dal Niger e proteggerli contro i trafficanti. Tuttavia, attivisti, giornalisti e ricercatori sostengono, da anni, che la strategia ha esacerbato i pericoli letali per i migranti durante i loro viaggi”
Tende a confermare tali affermazioni la Border Forensics, un’agenzia che mobilita metodi innovativi di analisi spaziale e visiva per indagare sulle pratiche di violenza di confine, ovunque questa violenza possa aver luogo. Lavorando in collaborazione con le comunità di migranti e gruppi non governativi, mira a promuovere e difendere la dignità e i diritti dei migranti e a promuovere la giustizia della mobilità.
Analisi concrete effettuate su tre siti (Seguedine, Toummo e Madama) lungo l’asse tra Agadez, la capitale del Nord del Niger, e Sabha, nella Libia centro-meridionale, rivelano chiaramente il legame chiaro tra il rafforzamento della sicurezza ai confini e i cambi di traiettorie dei migranti. Questi si allontanano nel deserto, dove le possibilità di sopravvivenza sono minori in caso di problemi, come guasto meccanico, abbandono, o penuria d’acqua. La disidratazione, in zone sempre più remote e quindi “invisibili”, è infatti il rischio fatale più diffuso reso evidente dall’indagine del gruppo di ricercatori. Sebbene sia molto difficile avere numeri precisi, il rapporto afferma che migliaia di decessi sono stati segnalati dopo l’attuazione della legge, un fenomeno che non era registrato in precedenza.
Il rapporto ricorda inoltre che responsabili politici erano ben consapevoli di questa conseguenza quando hanno optato per il potenziamento dei controlli ai confini. Ma al di là delle tragiche morti, la legge ha anche avuto effetti nefasti sulla popolazione locale e la regione. Ha impattato negativamente i mezzi di sussistenza delle popolazioni locali, mettendo a repentaglio la loro sicurezza economica.
Di fatto, chi forniva servizi ai migranti, come trasporti, alberghi, intermediari, che operavano alla luce del sole in un sistema di mobilità transahariana, sono stati criminalizzati e minacciati di pene pesanti, fino al carcere.
“Come abbiamo dimostrato – scrivono gli autori del rapporto, guidato da Charles Heller e Lorenzo Pezzani – la legge 2015-36 è il risultato di una convergenza di interessi che mirano a restringere la mobilità, sia da parte del Niger che dell’Unione Europea. In quanto tale, il Niger ha una responsabilità fondamentale per quanto riguarda le conseguenze di questa legge. Ma senza il sostegno multiforme di alcuni Stati, istituzioni e agenzie europee, il Niger non avrebbe potuto attuarla con una tale dimensione ed effetti così spettacolari”. Il quadro europeo viene accusato di impedire la libera circolazione in Europa, ma anche di contribuire a minare la libertà di circolare lontano dall’Europa, violando la giustizia in materia di mobilità.
“Il Niger e l’Ue devono riorientare le proprie politiche migratorie per creare un quadro giuridico che consenta la mobilità internazionale, compresa quella degli africani, in sicurezza e nella legalità, piuttosto che perseguire l’illusione di bloccare le migrazioni al prezzo di enormi sacrifici umani”, conclude il rapporto d’inchiesta “Missione compiuta? Gli effetti letali del controllo alle frontiere del Niger”. Il rapporto si basa su recenti tecnologie geo-spaziali e di telerilevamento.