Il giornalismo nigerino è in lutto per il decesso di Maman Abou Tarka, fondatore e direttore del settimanale indipendente Le Républicain, noto per il suo impegno a favore della difesa dei diritti umani, della democrazia e della libertà d’espressione.
Definito dai colleghi un «baobab dell’informazione», Maman Abou Tarka, 70 anni, si è spento in una clinica di Niamey: un ictus patito qualche anno fa lo costringeva da tempo a muoversi su una sedia a rotelle. Eppure la malattia non l’aveva allontanato dal suo lavoro e dalla sua passione: il giornalismo.
Attivo militante per la democrazia, Maman Abou è stato membro fondatore dell’Associazione nigerina per i diritti umani (Anddh) e dell’Associazione nigerina degli editori della stampa indipendente (Anepi), di cui fu per un periodo presidente. Nel 1991, in una fase di apertura del Paese al multipartitismo, guidò la Commissione “crimini e abusi”. Nel 2006, sotto la presidenza di Mamadou Tandja, Maman Abou fu condannato a 18 mesi di carcere per aver denunciato attraverso il suo giornale malversazioni nella gestione di fondi europei per l’istruzione.
Simpatizzante dell’attuale partito di governo, il Pnds Tarraya del presidente Mahamadou Issoufou, non esitava a denunciare anomalie nei ranghi del potere. A marzo 2019, sul Républicain aveva denunciato derive affaristiche in seno al ministero della Difesa, che proprio in questi mesi è sotto inchiesta per fatti passibili di azioni penali (tra i reati contestati falso in scritture pubbliche e commerciali, arricchimento illecito e vizi nelle procedure d’appalti pubblici).
Nella sua veste di uomo d’affari, Maman Abou aveva preso le redini della Nouvelle imprimerie du Niger (Nin), ex società statale, facendone la prima tipografia nazionale, fornitrice anche per il mercato estero.
Nel febbraio 2018, due inviati in Niger di Africa Rivista hanno incontrato Maman Abou presso il suo ufficio a Niamey, in occasione di una visita presso i locali della Nin. Un incontro piacevole, semplice e contraddistinto da un grande senso di accoglienza. Dalla spontanea conversazione condividiamo uno stralcio, in cui il direttore ricorda come la destabilizzazione della Libia abbia contribuito a mantenere il Niger e la regione in uno stato di sottosviluppo.
«Avremmo potuto fare di meglio se Gheddafi non fosse stato ucciso. Alla morte di Gheddafi, dalla Libia sono venuti fuori troppi soggetti diventati islamisti e jihadisti, alcuni dei quali entrati in Mali (…) Dal periodo compreso tra il 2010 e il 2015, non abbiamo più avuto un momento di respiro. Nonostante le nostre esigue risorse, almeno il 40% del bilancio statale è destinato alle forze armate (…). È una situazione drammatica per un Paese povero come il Niger. Questa situazione ha ostacolato gli investimenti per la scuola e la sanità perché è stata privilegiata la sicurezza. Le difficoltà sono purtroppo legate a contingenze esterne, che tuttora non si capiscono bene…».
Il funerale del defunto è previsto oggi nella sua cittadina natale, Belbédji, nel dipartimento di Zinder.
Céline Camoin