In un sobborgo di Lagos fioriscono i ballerini che meravigliano il mondo. A piedi nudi nel fango, sotto la pioggia. Il video di un giovane ballerino nigeriano pubblicato sui social network ha emozionato milioni di persone. Dietro il filmato c’è la richiesta di aiuto di una piccola scuola di danza classica: «Immaginate cosa potremmo fare con più risorse»
di Claudia Volonterio – foto di Benson Ibeabuchi / Afp
La pioggia cade fitta sul terreno fangoso, un bambino a piedi scalzi volteggia nell’aria con grazia e audacia seguendo il ritmo di una musica immaginaria. Siamo ad Ajangbadi, un sobborgo di Lagos, capitale economica della Nigeria. Il ballerino si chiama Anthony Mmesoma Madu e ha undici anni. Un cellulare lo riprende mentre si esercita nelle pirouette in condizioni di estrema difficoltà. Le immagini, pubblicate su Instagram l’estate 2020, hanno fatto il giro del mondo ed emozionato milioni di persone. Dietro quel video c’è l’incredibile storia di una scuola di danza nigeriana: la Leap of Dance Academy.
Lezioni di strada
Una favola ambientata nel quartiere popolare di Ajangbadi. Qui ogni giorno allievi e allieve si esercitano in una sala addobbata con tende colorate che fanno da cornice alle loro evoluzioni. C’è una sbarra piccola e sottile, uno stereo per la musica e niente più. Lo spazio è ritagliato nell’abitazione di Daniel Owoseni Ajala, 29 anni, fondatore e unico insegnante della scuola. Un ballerino autodidatta che si è dedicato ad aiutare i bambini attraverso la danza. Perché la Leap of Dance Academy è soprattutto una palestra – totalmente gratuita – dove crescere e salvarsi.
Gli allievi, provenienti da situazioni familiari spesso difficili, qui trovano attenzioni e stimoli per migliorarsi: mentre apprendono i passi di danza rafforzano la fiducia in sé. E ciò è particolarmente importante in un ambiente disagiato dove la violenza è pane quotidiano. La danza come ossigeno. Nemmeno la pandemia da coronavirus ha fermato le lezioni. Durante la fase più acuta della crisi sanitaria, le lezioni si sono tenute all’aperto e su base individuale, per limitare il rischio di contagio. Per settimane le strade sterrate e le case di lamiere sono state la scenografia di un improbabile palcoscenico.
L’aiuto della tecnologia
«Non potevamo fermarci. Con le scuole chiuse, per i miei allievi restava solo la danza», dice il fondatore dell’Academy, una laurea in Business Administration rimasta nel cassetto, lavori d’ufficio per guadagnarsi da vivere. Daniel in passato ha tentato di approdare a una scuola di danza europea per perfezionarsi, ma gli è andata male. «Non mi hanno concesso il permesso di soggiorno per frequentare il corso – racconta –. La burocrazia dell’Europa mi ha sbattuto le porte in faccia».
Le delusioni non gli hanno spento la passione. Grazie a YouTube si è esercitato duramente ogni giorno a muoversi sulle punte a ritmo di musica. «Ho cercato di emulare i ballerini professionisti. E ho seguito con attenzione i tutorial dei migliori maestri». Cullava il sogno di aprire una sua scuola. Cinque anni fa ha lanciato dal suo smartphone un appello sui social network per ottenere un aiuto. L’associazione americana Traveling Tutus gli ha inviato indumenti e scarpette per gli allievi: il necessario per avviare l’attività.
Inizi difficili
La reazione della comunità di Ajangbadi è stata però alquanto tiepida. «All’inizio guardavano con diffidenza e sospetto la mia scuola… Molti genitori consideravano il balletto classico estraneo alla cultura locale, un’attività sconveniente per i loro figli. Qualche pastore cristiano ha addirittura additato la danza come strumento demoniaco». Poco alla volta le famiglie hanno compreso il valore sociale della scuola: un prezioso rifugio dai pericoli della strada. Oggi i ballerini sono più di venti e il numero degli allievi continua a crescere. Anthony, uno dei pochi maschi, ha dovuto lottare contro i pregiudizi. «Gli amici mi prendevano in giro, dicevano che mi muovevo come una femminuccia. Ma quando danzo non sento più le cattiverie e mi sembra di volare». Il suo video virale ha fatto il giro del mondo. Una filantropa americana gli ha finanziato le lezioni online di una prestigiosa scuola di danza statunitense. Come lui, altri piccoli ballerini stanno emergendo dal fango e dalle lamiere di Ajangbadi. Teatri e accademie di ogni continente offrono di aiutare. Il merito è tutto di Daniel Owseni Ajala. «Non mi sarei mai aspettato un successo simile – si schermisce –. Immaginate cosa potremmo fare se avessimo più risorse».
(Claudia Volonterio)
Questo articolo è uscito sul numero 2/2021 della rivista. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.