Nel Delta del Niger, come in larga parte dell’Africa, la modernità convive con la tradizione. Ma non capita a tutti di essere ricevuti in udienza dal sovrano del popolo ikwerre. Noi abbiamo avuto questo privilegio…
Il re degli Ikwerre è un ultrasettantenne piccolo di statura. Parla con un impeccabile inglese britannico che suona davvero regale rispetto all’incomprensibile pidgin english usato dalla maggioranza della popolazione del Delta del Niger. Ci riceve in un appartamento periferico di Port Harcourt assieme al consiglio dei suoi chief (i capi tradizionali delle comunità).
Sta seduto su un trono di legno con scolpiti due leoni con le fauci aperte al posto dei braccioli, un tessuto rosso tipo velluto ricopre lo schienale e in cima c’è la scritta: “Eze Chorlu VII”, cioè il settimo sovrano degli Ikwerre con quel nome. Al suo fianco, su un trono solo un po’ più piccolo, senza scritte e senza leoni, siede una bella donna sessantenne, con gli occhiali e un vestito di un pacato color verde. Ha un viso dolce, da professoressa, incorniciato da un foulard rosso avvolto ad arte intorno al capo. È la regina.
Uno storico regno
Gli Ikwerre sono una delle venti più importanti etnie del Delta del Niger, costituiscono la maggioranza dei circa cinque milioni di abitanti dello Stato di Rivers. Il loro territorio è uno dei più sfruttati per l’estrazione del greggio (vi sono un totale di 92 pozzi petroliferi). Sono tradizionalmente pescatori, agricoltori e cacciatori, ma il degrado ambientale, dovuto alla scoperta dei giacimenti, e l’espansione urbana hanno causato una forte diminuzione dei terreni agricoli utilizzabili e delle foreste e dei fiumi a disposizioni per praticare caccia e pesca. La secolare organizzazione economica e sociale di questo popolo, sopravvissuta al periodo coloniale, oggi deve fare i conti con gli sconvolgimenti della modernità. Per il momento l’istituzione della monarchia resiste e Re Chorlu VII gode ancora di grande prestigio.
Accoglienza regale
Essere ricevuti con il pieno dispiegamento della diplomazia regale è un privilegio per uno straniero. Ma gli Ikwerre sono molto aperti e ospitali e per l’occasione tutti, il sovrano e i suoi chief, hanno indossato l’abito delle grandi occasioni: ampie tuniche dai colori sgargianti, catene d’oro e d’argento e gli immancabili copricapi: bombette e cilindri che paiono del tutto fuori luogo.
Veniamo accolti con musiche, balli e una coreografia da far invidia a un kolossal di Hollywood: nel cortile di una grande casa a piano unico qualche decina di donne ballano e pestano con le mani, con delle bacchette o con dei veri e propri mattarelli, su una vasta collezione di strumenti a percussione. Sono vestite tutte uguali: un abito intero di colore rosa shocking tempestato di perline, e un copricapo dello stesso colore formato da un panno inamidato annodato e piegato in modo da formare una appariscente composizione artistica. Il tutto dovrebbe avere un che di pacchiano ma, come spesso avviene in Africa, colori improponibili e accostamenti da brivido finiscono per avere il loro fascino e il loro buon gusto. Nel cortile le donne dimenano a ritmo il generoso posteriore mentre il re e il suo meravigliato ospite osservano compiaciuti.
Veniamo fatti accomodare su un divano e ben presto il tavolino davanti a noi si riempie di cibi e bevande. C’è di tutto: dolcissimi ananas, frutti della passione, barbabietole nane, noci di cola, biscotti, frittelle ma anche più comuni aranciate, Coca-Cola, vino di palma. E arriva anche una bottiglia di whisky. Il protocollo prevede che si faccia onore all’ospitalità servendosi generosamente di ogni alimento e bevanda. Ma soprattutto bisogna consumare noce di cola: un rituale che celebra e consolida amicizie e relazioni.
Ai piedi degli antenati
Una grande e gloriosa etnia africana non può prescindere dagli antenati, così il re a un certo punto annuncia che la festa si sposterà, seduta stante, nel luogo dove è stato eretto il monumento agli antenati. Così si esce in corteo per le strade del quartiere, le donne davanti con le loro percussioni, poco dopo il re e la regina, i dignitari, uno schieramento di tonache colorate e di bombette e cilindri di tutte le fogge. Quando arriviamo sul posto, il monumento è sorprendente. Ci sono gli antenati, tutti, donne e uomini. Sono statue a grandezza naturale di gente comune: donne con il pareo e un figlio legato sulla schiena, uomini in abiti eleganti, altri con attrezzi da lavoro. Sono posati su una base di cemento che non è altro che il luogo delle riunioni. «Ancora oggi gli Ikwerre vengono qui a prendere le decisioni importanti», spiega il re. «Ci vengono soprattutto gli anziani, perché i giovani sono meno legati a queste tradizioni», aggiunge con disappunto.
Tra passato e futuro
«I giovani, qui come altrove, tendono a farsi affascinare dalla modernità, da valori che non sono quelli che li hanno formati. Eppure modernità e tradizione non sono in antitesi. Gli Ikwerre hanno potuto non perdere la propria identità, minata dall’arrivo delle imprese straniere e dalla devastazione del territorio, proprio grazie al fatto che avevano un legame forte che li teneva insieme e un sistema di valori condiviso. Senza i valori della tradizione, si è in balia del vento, ci si sente senza radici e senza fondamenta».
Si capisce che è un argomento che sta a cuore al sovrano, che si infervora: «È per questo che noi manteniamo viva la nostra cultura, perché è un appiglio, una salvezza». La musica si attenua. I chief parlano con la gente del quartiere mentre le donne in rosa, schierate in formazione, osservano ammirate il re in piedi sul monumento… assieme agli antenati. Una tira fuori un tablet, naturalmente con custodia rosa shocking, e immortala la scena.
(testo di Raffaele Masto – foto di Marco Trovato)