Nord Kivu sotto assedio

di claudia

di Pierre Yambuya – foto di Simon Townsley/Panos Pictures

Nella regione congolese del Nord Kivu si fa sempre più drammatica la crisi umanitaria degli sfollati in fuga dalle violenze e dal terrore. I ribelli armati dell’M23 e i miliziani jihadisti dell’Adf – due sigle diventate sinonimo di brutalità efferate contro i civili – continuano a destabilizzare il Nord Kivu, spingendo migliaia di persone a fuggire dai loro villaggi per cercare rifugio nei campi per sfollati allestiti presso la città di Goma. Dove però non trovano pace.

«La prima volta che mi hanno violentata ero terrorizzata, pensavo mi volessero ammazzare. Poi sapevo cosa mi aspettava, speravo solo che tutto finisse in fretta». Le milizie che infestano le foreste del Nord Kivu hanno fatto a brandelli la vita di Patience, 30 anni, che da mesi vive accampata in una tenda bianca vicino alla città di Goma. «Il mio villaggio è stato attaccato più volte, non è rimasto più nessuno», racconta con un filo di voce. «Mentre tentavo di fuggire sono stata catturata da un gruppo di uomini armati. Per quattro giorni mi hanno preso con la forza, a turno. Ero il loro trofeo di guerra. Una notte che erano intontiti dall’alcol, sono riuscita a scappare. Ho vagato nella foresta, nascondendomi tra i rovi, cibandomi di bacche e frutta selvatica. E ora sono qui senza sapere cosa fare del mio futuro». Una storia terribile, fra le tante.

Le province orientali della Repubblica Democratica del Congo da oltre vent’anni sono infestate da gruppi ribelli che si contendono il controllo del territorio, saccheggiandone le ricchezze minerarie e la popolazione.

Ombre rwandesi

A infierire sui civili inermi sono soprattutto i miliziani del gruppo M23 – che nei mesi scorsi sono avanzati fino a minacciare Goma, il capoluogo della regione –, accusati di omicidi, stupri e rapimenti di massa. Centinaia di migliaia di persone hanno lasciato le loro case per sfuggire alle loro atrocità e cercare rifugio in città. I caschi blu dalla Monusco – la missione Onu attiva dal 1999 nell’est della Rd Congo – possono fare ben poco per contrastare la minaccia dei miliziani, ben armati e che si muovono in piccoli gruppi nel cuore della selva. La loro capacità organizzativa e operativa indica una struttura militare solida e coordinata. Che gode di appoggi esterni. Il governo congolese ha accusato più volte il confinante Rwanda di sostenere l’M23 – nelle cui file militano molti uomini di etnia tutsi – benché Kigali abbia sempre negato il suo coinvolgimento nella guerriglia. Ma persino alti ufficiali delle Nazioni Unite lo scorso dicembre hanno affermato di aver ottenuto «prove sostanziali» che il Rwanda sostiene direttamente l’M23 con armi, munizioni e uniformi. Non solo. I caschi blu e i soldati di Kinshasa hanno intercettato truppe rwandesi nelle regioni congolesi del Nord e Sud Kivu, dove peraltro sono ancora presenti i ribelli hutu protagonisti del genocidio dei Tutsi consumatosi nel 1994 nel piccolo Paese africano.

Minaccia jihadista

Ad alimentare ulteriormente l’instabilità di questa terra tormentata è la crescente minaccia rappresentata da un gruppo criminale di matrice islamista: l’Adf, acronimo di Allied Democratic Force. Una sigla che è diventata sinonimo di brutalità e terrorismo, poiché si è resa protagonista di violenze efferate che hanno interessato anche la regione dell’Ituri e sconfinato nel vicino Uganda. Proprio qui ha preso forma nel 1995 il gruppo ribelle fondato da Jamil Mukulu, leader carismatico che aspira all’instaurazione nel cuore dell’Africa di un califfato retto dalla sharia, la legge islamica. Quando da Kampala è partito l’ordine, sul finire degli anni Novanta, di stanare il movimento, Mukulu e i suoi più stretti seguaci hanno lasciato le province occidentali dell’Uganda e si sono spostati nel Nord Kivu, dove hanno impiantato nuove basi operative nelle foreste del Virunga, da cui conducono attacchi sanguinari contro i civili, anche oltre i confini – che peraltro esistono solo sulla carta.

L’inferno delle donne

Le donne sono le vittime sacrificali di questa guerra “a bassa intensità”, logorante, innescatasi con il collasso dell’allora Zaire. I casi di violenza sono sistematici. La missione delle Nazioni Unite dislocata nell’area ha accertato oltre 15.000 stupri in un anno: il più alto numero di crimini sessuali registrati al mondo. Almeno 600.000 sfollati interni vivono in condizioni disperate, nei campi allestiti nei dintorni di Goma, una città che vive perennemente sotto assedio, con il suo milione di abitanti intrappolati in una spirale di guerra che non conosce fine e che produce ricorrenti emergenze umanitarie.

Neppure nelle tendopoli le donne possono vivere tranquille. «Il livello di aiuti è gravemente inadeguato», denuncia l’organizzazione Medici Senza Frontiere (Msf), che lavora in 12 campi intorno alla città di Goma. «La carenza di cibo si ripercuote soprattutto sulle donne, che spesso sono costrette a lasciare i campi per cercare alimenti o legna da ardere, esponendosi al rischio di violenza sessuale. I numeri sono agghiaccianti: in due settimane, 674 donne dei campi di Bulengo, Lushagala, Kanyaruchinya, Elohim, Munigi e Rusayo hanno dichiarato di aver subito violenza sessuale. Attualmente, una media di 50 donne al giorno riferisce di essere vittima di violenza sessuale in quegli stessi luoghi, dove le autorità non riescono a garantire la sicurezza».

Situazione allarmante

«Tra gli sfollati abbiamo riscontrato tassi allarmanti di malnutrizione e mortalità», fanno sapere gli operatori di Msf, che forniscono cure mediche gratuite, acqua potabile e costruiscono latrine e docce in base ai bisogni più urgenti. «Nel campo di Rusayo, dove la popolazione è stimata in centomila abitanti, muoiono in media più di tre bambini al giorno per varie cause. Questa situazione allarmante è aggravata da diversi fattori di rischio, come i casi di morbillo e colera nel campo». Molti degli sfollati arrivano nei campi in condizioni disperate, con gravi ferite. Un’indagine di Msf sulla mortalità nei campi di Rusayo, Shabindu e Don Bosco ha rivelato che la violenza è la principale causa di morte tra gli uomini, con due decessi ogni 10.000 persone al giorno, tra gennaio e fine aprile, avvenuti per lo più nel luogo di origine o durante il viaggio verso l’area di Goma.

«Questa situazione catastrofica è ancora più incomprensibile se si considera la vicinanza alla grande città di Goma, dove gli aiuti potrebbero essere facilmente distribuiti», accusa Guyguy Manangama, responsabile dei programmi di emergenza di Msf. «La mobilitazione del sistema di aiuti è insufficiente e troppo lenta». 

La situazione umanitaria è critica anche in altre aree del Nord Kivu, come i territori di Lubero, Masisi e Rutshuru, dove il livello di aiuti a disposizione delle persone bisognose è gravemente inadeguato. L’epidemia di colera in corso da mesi nella regione ha contagiato oltre trentamila persone e provocato centinaia di decessi, molti dei quali riferiti a bambini sotto i 5 anni di età. «Le dimensioni dell’epidemia di colera e la devastazione che minaccia dovrebbero far suonare un campanello d’allarme», ha dichiarato Shameza Abdulla, coordinatore senior delle emergenze dell’Unicef nella Rdc, con sede a Goma. 

«Se non si interviene con urgenza nei prossimi mesi, c’è il rischio significativo che la malattia si diffonda in parti del Paese con conseguenze catastrofiche». La Rdc ha visto più di 1,5 milioni di persone, tra cui oltre 800.000 bambini, sfollati nelle province del Nord Kivu, del Sud Kivu e dell’Ituri dal gennaio 2023. File di persone di ogni età arrivano ogni giorno ai campi. Affamati e disperati, giungono esausti dopo giorni di cammino ininterrotto. Terrorizzati e braccati dai miliziani, implorano un rifugio dalle violenze. Chi trova la forza, riferisce storie raccapriccianti. C’è chi è rimasto solo al mondo perché l’intera famiglia è stata sterminata. E chi non riesce neppure a raccontare l’inferno che ha vissuto. A parlare – senza bisogno di parole – è lo sguardo dei bambini: triste, cupo, svuotato di luce. Torna a illuminarsi solo quando un aquilone rattoppato con pezzi di plastica riesce a prendere il volo sopra le tendopoli di Goma.

Questo articolo è uscito sul numero 6/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.

Condividi

Altre letture correlate: