di Marco Trovato
Sono appena rientrato da un viaggio di lavoro dal Malawi, nazione dell’Africa meridionale inserita nella lista dei Paesi a rischio per la nuova variante Omicron del Covid. Prima di arrivare in Italia mi sono sottoposto a un tampone molecolare (PCR), in una struttura pubblica in Malawi. Ottenuto il risultato negativo, certificato su una piattaforma delle autorità sanitarie, ho potuto imbarcarmi. Non prima di aver compilato il Passenger Locator Form digitale (dPLF) europeo, formulario online obbligatorio dove ho inserito ogni dettaglio relativo ai miei movimenti. I controlli all’aeroporto di Blantyre, in Malawi, sono stati rigorosi. Addetti doganali e compagnia aerea hanno voluto accertarsi, giustamente, che tutto fosse in regola.
Stamattina sono arrivato a Malpensa. Appena ci siamo fermati sulla pista la voce di una hostess mi ha invitato a scendere per primo dall’aereo. Ai piedi delle scale, sulla pista, c’era una pattuglia della polizia che mi attendeva.
Sono stato cordialmente invitato a salire su un bus, assieme ad altri due passeggeri: uno in arrivo dalla Namibia, l’altro dal Mozambico (altri due paesi considerati a rischio per la variante Covid).
Siamo stati scortati fino all’aeroporto dove ci hanno controllato documenti ed esito del tampone PCR eseguito nella nazione africana di provenienza.
Un addetto dell’aeroporto ci ha preso in consegna, sempre con molta cortesia, per condurci all’area tamponi.
In pochi minuti – pagando 20 euro per il test – ho avuto il mio risultato: negativo, fortunatamente.
Ora dovrò fare dieci giorni di quarantena al termine dei quali dovrò sottopormi a un nuovo tampone PCR. Certo può essere una scocciatura. Ma a me tutta questa efficienza e organizzazione ispira un senso di tranquillità: il mio arrivo era stato annunciato, i miei spostamenti sono stati tracciati, i test sono stati rigorosi, veloci, efficaci. Come del resto in Malawi, il paese di provenienza.
Tutto bene allora? Non proprio…
Un collega che viaggiava con me e che si è scrupolosamente attenuto alle disposizioni di legge, è sbarcato a Fiumicino, con il mio stesso aereo. Allo scalo romano nessuno lo ha cercato. E’ stato lui a presentarsi ai controlli di frontiera. “Scusate, provengo dal Malawi, non dovrei fare un tampone?”, ha chiesto. “Non è necessario, non ci risulta un Paese a rischio come il Sudafrica” è stata la risposta. A questo punto, il mio collega ha cercato di parlare coi responsabili dell’area tamponi. I quali gli hanno ribadito che non era necessario che si sottoponesse al tampone sul posto. Benché il Malawi sia inserito nella lista dei Paesi a rischio, pubblicata con l’ordinanza del ministro Speranza del 26 novembre, come ben sanno a Malpensa.
Milano, Roma. Due prove con esiti opposti. Sarà solo un caso, per carità. Ma le pandemie iniziano sempre con un caso.