Onu: continuano le violazioni dei diritti umani in Burundi

di claudia

Dall’elezione nel 2020 del presidente Evariste Ndayishimiye in Burundi quasi nulla è cambiato. Le violazioni dei diritti umani nel Paese, secondo la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite, sono rimaste invariate, per alcuni aspetti peggiorate. Nel rapporto emergono gravi atti commessi negli ultimi quindici mesi contro i membri dei partiti di opposizione, come sparizioni, arresti, detenzioni arbitrarie e atti di tortura

di Angelo Ravasi

Non c’è pace per il Burundi, nemmeno il cambio al vertice dello scorso anno ha portato a dei miglioramenti significativi nelle condizioni di vita della popolazione. Nonostante gli impegni presi dal presidente Evariste Ndayishimiye, la situazione dei diritti umani nel Paese rimane “disastrosa” e “per alcuni aspetti è peggiorata” da quando si è insediato a metà del 2020. Il giudizio, impietoso, arriva dalla Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sul Burundi.

L’elezione di Ndayishimiye, nel maggio 2020, aveva suscitato speranze dopo anni di crisi segnati in particolare da esecuzioni sommarie, sparizioni e detenzioni arbitrarie. Ma nel suo quinto rapporto pubblicato il 16 settembre, la Commissione afferma che, nonostante alcuni miglioramenti, la situazione generale è peggiorata per i partiti di opposizione, i giornalisti e le Ong, che sono sottoposti a una nuova repressione. “Dall’insediamento del presidente Ndayishimiye 15 mesi fa, non solo sono continuate a essere commesse gravi violazioni dei diritti umani, ma per alcuni aspetti la situazione è peggiorata”, ha affermato Doudou Diène, presidente della Commissione. “I membri dei partiti di opposizione sono ancora regolarmente bersaglio di restrizioni irragionevoli e sono soggetti a gravi violazioni dei diritti umani come sparizioni, arresti e detenzioni arbitrarie e atti di tortura”, continua il testo.

“Pur revocando alcune sanzioni imposte alla società civile e ai media e rilasciando alcuni difensori dei diritti umani e giornalisti, il governo ha adottato misure, parallelamente, per rafforzare il suo controllo sul lavoro delle Ong internazionali e mostrando costantemente una chiara ostilità al giornalismo indipendente”. Gli investigatori affermano che alcuni atti commessi dalle forze di sicurezza “potrebbero costituire crimini contro l’umanità”, questi ultime “continuano a beneficiare dell’impunità generalizzata per le loro azioni, come avviene dal 2015”.

Il presidente del Burundi, Evariste Ndayishimiye

Nel 2015, il desiderio dell’ex presidente Pierre Nkurunziza di essere eletto per un controverso terzo mandato ha innescato una crisi profonda che ha causato la morte di 1.200 persone e ha spinto all’esilio circa 400mila burundesi. Rimasto al potere fino a maggio 2020, Nkurunziza è morto poche settimane dopo l’elezione di Ndayishimiye, suo successore designato.

L’anno scorso, la Commissione, incaricata dal 2016 dal Consiglio per i diritti umani di indagare sugli abusi commessi in questo Paese dell’Africa dei Grandi Laghi, ha invitato il nuovo governo a “rompere il ciclo della violenza” e a collaborare con le Nazioni Unite. Il Burundi occupa il 147esimo posto su 180 nella classifica dell’ONG Reporters sans frontières (RSF) sulla libertà di stampa.

C’è da chiedersi, ora, cosa farà l’Unione europea che, solo a giugno, aveva avviato le procedure per la rimozione delle restrizioni finanziarie sul Burundi. Un’intenzione, ovviamente, comunicata con soddisfazione dal presidente Ndayishimiye attraverso una nota pubblicata su Twitter che faceva seguito a un incontro con i delegati della Ue che si è tenuto a Gitega. Il rappresentante dell’Ue in Burundi, Claude Bochu, dal canto suo aveva specificato che si trattava di un “inizio del processo per revocare le restrizioni in vigore”.

Nel 2016 l’Ue ha sospeso il sostegno finanziario diretto al governo del Burundi per le violazioni dei diritti umani dopo i disordini seguiti al fallito colpo di stato del 2015. Dal 2020, sotto il presidente Evariste Ndayishimiye, il Burundi ha compiuto sforzi per ripristinare lo stato di diritto e le relazioni estere e si è rivolto all’Ue per revocare le sanzioni. Diverse organizzazioni della società civile hanno però scritto una petizione all’Ue deplorando “la diffusa impunità” per gravi violazioni commesse in passato ma anche in tempi più recenti. Dopo il rapporto delle Nazioni Unite, che non lascia spazio a dubbi, c’è da chiedersi cosa farà l’Unione europea. Continuerà sulla strada della revoca delle sanzioni economiche? Oppure chiederà ulteriori sforzi al Paese affinché si allinei alle buone pratiche della convivenza civile e della democrazia?

In Burundi è cambiato poco o nulla, come mostra il rapporto delle Nazioni Unite. La politica di Ndayishimiye non cambia, anzi è nel solco della continuità dei metodi militareschi del Presidentissimo Nkurunziza, atleta e salutista morto di covid, e garantita dalla lobby dei generali che dispongono del Paese e delle istituzioni come vogliono, sono loro che hanno “garantito” il passaggio di potere. L’eredità ideologica e istituzionale che Nkurunziza ha lasciato rispecchia ciò che accade in molti altri Paesi africani i cui leader cedono lo scettro perché alla fine non cambi nulla. Sconcertanti e significative le parole di un attivista burundese, Thierry Uwamahoro, in esilio da tempo: “Quando sono venuto a conoscenza della scomparsa di Pierre Nkurunziza ho pensato alle migliaia di vite che il suo regime ha stroncato e alle loro famiglie che non avranno mai giustizia”

(Angelo Ravasi)

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