Quasi la metà delle donne è privata del diritto di disporre del proprio corpo, secondo un rapporto delle Nazioni Unite intitolato “My body is my own”, basato su un sondaggio condotto in 57 paesi in via di sviluppo, in maggioranza localizzati in Africa subsahariana. Il 45 per cento delle donne intervistate in Africa subsahariana ritiene di non potere disporre pienamente del proprio corpo.
I ricercatori hanno individuato tre indicatori, considerandoli insieme e poi separatamente: la possibilità di dire no a un rapporto sessuale con il partner, quella di decidere in merito alle scelte contraccettive e quella di decidere sulla propria salute. Se si sommano gli indicatori, viene fuori che in Mali, Niger e Senegal queste possibilità sono riconosciute a meno del dieci per cento delle donne. Disaggregandoli il quadro si fa più complesso. In Mali, per esempio, il 77 per cento delle donne decide in autonomia sulla contraccezione ed è il tema delle scelte personali sulla salute che rivela la percentuale più alta di subordinazione.
Il Paese africano in cui complessivamente si registra la media di autonomia più elevata è il Madagascar: qui il 74 per cento delle donne dichiara di potere decidere del proprio corpo, l’88 per cento si ritiene in diritto di rifiutare un rapporto sessuale, il 93 per cento decide sulla contraccezione, il 90 sulla salute.
In Ghana, ad esempio, sono stati fatti massicci investimenti per migliorare la salute materna e offrire alle madri dei servizi accessibili e di qualità. Come risultato, la percentuale di donne in grado di prendere da sole decisioni riguardo la propria salute e la cura è aumentata progressivamente. Allo stesso tempo, la percentuale di donne che gestiscono da sole la contraccezione si è stabilizzata, mentre il numero di donne capace di dire no a sesso non gradito si è abbassata drasticamente.
Una situazione simile si è verificata in Benin, dove però la percentuale di donne che sono in grado di fare decisioni autonome sulla contraccezione e l’assistenza sanitaria non è cresciuta tantissimo, mentre il potere delle donne di dire no al sesso è diminuito del 20 per cento.
Tra il livello di istruzione e quello di autonomia decisionale c’è una proporzionalità diretta.
Il rapporto si sofferma anche sul ruolo giocato dalle pratiche tradizionali e sulle conseguenze spesso nefaste di tali pratiche. Prendiamo il caso della pratica nota come widow inheritance, presente in Kenya. Questa pratica prevede che una donna rimasta vedova debba passare attraverso un rito ad alto tasso di promiscuità sessuale, che poi le permetterà di essere ereditata da un nuovo partner. Al di là del mancato controllo sul proprio corpo, il rapporto evidenzia come le vedove ereditate contraggano più frequentemente di altri malattie a trasmissione sessuale vedendo pregiudicata così anche la loro salute strettamente fisica.
Oltre al grave danno che infligge alle donne e alle ragazze interessate, la mancanza di autonomia corporea ha gravi conseguenze su altri piani: può minacciare la loro salute, ma anche abbassare la produttività economica, minare la mobilitazione delle competenze e generare costi aggiuntivi per i sistemi giudiziari e sanitari.
“Il fatto che quasi la metà delle donne non sia ancora in grado di decidere autonomamente se fare sesso, usare metodi contraccettivi o cercare cure dovrebbe suscitare indignazione generale”, afferma Natalia Kanem, direttrice esecutiva dell’Unfpa. Ciò significa che centinaia di milioni di donne e ragazze non hanno il controllo del proprio corpo e la loro esistenza è governata da altre persone”.
Questo rapporto descrive anche altre forme di violazione dell’autonomia corporea di donne, uomini, ragazze e ragazzi, rivelando i seguenti fatti: venti paesi o territori hanno leggi che consentono agli autori di stupro di sposare le loro vittime per evitare sanzioni penali; 43 paesi non hanno leggi che vietano lo stupro coniugale (stupro commesso da un coniuge); più di 30 paesi limitano il diritto delle donne a spostarsi fuori casa; ragazze e ragazzi con disabilità hanno quasi tre volte più probabilità di essere vittime di violenza sessuale, con le ragazze che sono le più a rischio.
Le misure volte a combattere tali maltrattamenti a volte portano ad altre violazioni dell’autonomia corporea. Ad esempio, nel contesto di un processo per stupro, alcuni sistemi di giustizia penale possono richiedere a una persona sopravvissuta di sottoporsi a un cosiddetto “test di verginità” invasivo.
“La privazione dell’autonomia corporea costituisce una violazione dei diritti fondamentali delle donne e delle ragazze, il che rafforza le disuguaglianze e perpetua la violenza generata dalla discriminazione di genere”, afferma il dottor Kanem. Queste pratiche sono semplicemente un annientamento della mente e devono cessare”.
“Al contrario”, aggiunge, “una donna che ha il controllo del proprio corpo ha maggiori probabilità di avere un controllo migliore su altre aree della sua vita. Non solo acquisisce autonomia, ma gode anche di una salute migliore, una migliore istruzione, redditi più alti e maggiore sicurezza”.
(Testo di Stefania Ragusa – Foto di Valentina Giulia Milani)