Nonostante la pace siglata a settembre ad Addis Abeba, gli orrori della guerra in Sud Sudan scoppiata nel 2013 non smettono di emergere. Sia forze di sicurezza, che milizie armate avrebbero commesso gravi violazioni dei diritti umani, tra cui stupri, uccisioni e torture, ricorrendo spesso ai proventi del settore petrolifero. Lo ha denunciato un rapporto della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani in Sud Sudan, presentato ieri a Ginevra in occasione della terza relazione al Consiglio per i diritti umani.
Dall’ultimo aggiornamento del dicembre scorso circa l’entità dei reati di stupro e delle violenze sessuali perpetrati nella nazione più giovane d’Africa (divenuto indipendente dal Sudan nel 2011), la Commissione ha rivelato che la situazione è notevolmente peggiorata, con casi documentati che mostrano una nuova ondata di stupri avvenuti nei recenti mesi di novembre e dicembre, in particolare nello stato settentrionale di Liech.
All’interno delle 212 pagine si parla anche di una lista confidenziale con i principali responsabili che sarebbero membri dell’esercito, dell’intelligence nazionale, delle autorità locali e dei gruppi ribelli. In alcune zone colpite, il 65% delle donne e il 36% degli uomini potrebbero essere stati vittime di abusi sessuali. Secondo dati dell’Unicef, il 25% delle vittime di violenze sessuali sono bambini, ma ci sono infatti anche molti casi di uomini vittime di violenza sessuale.
“I combattenti attaccano i villaggi, saccheggiano le case, sequestrano le donne come schiave sessuali e poi danno fuoco alle abitazioni con persone all’interno”, ha commentato il presidente della Commissione, Yasmin Sooka. “Gli stupri, compresi quelli di gruppo, le mutilazioni sessuali, i rapimenti e la schiavitù, sono diventati comuni in Sud Sudan. Non c’è dubbio alcuno sul fatto che questi crimini continuino ad essere perpetrati grazie all’impunità ormai endemica”, ha concluso.
La Commissione ha anche esaminato le accuse di sfruttamento sessuale e abusi da parte delle forze di pace della Missione di pace dell’Onu nel Sud Sudan (Unmiss). Dal gennaio 2018 al 2019 sono stati registrati sette casi riguardanti 18 presunti colpevoli.
Come se non bastasse, il rapporto fa emergere anche un legame tra il conflitto e l’economia sud sudanese, in particolare nel settore petrolifero. Le aree petrolifere del paese sono sempre più militarizzate dalle forze governative, che hanno ampliato il loro coinvolgimento nel settore. Le operazioni della compagnia petrolifera statale Nilepet sarebbero caratterizzate da una totale mancanza di trasparenza e di supervisione indipendente. I proventi petroliferi e quelli derivanti da altre risorse naturali hanno dunque continuato a finanziare il conflitto, rendendo così possibili le violazioni dei diritti umani.
Il conflitto civile sud sudanese ha provocato lo sfollamento di oltre 1,4 milioni di persone e la morte di centinaia di migliaia. La pace siglata il 12 settembre tra il Capo di Stato, Salva Kiir, e il leader della principale fazione armata dei ribelli Riek Machar, ha ridato speranza, ma, oltre al sostegno materiale per la ricostruzione, è più che mai necessario investire politicamente nei meccanismi di giustizia di transizione, essenziali per costruire una pace sostenibile.