Martino Ghielmi –inviato della Rivista Africa a Kigali
La prima giornata di Africa Tech Summit, in scena a Kigali, è stata incentrata su una parola difficile da tradurre: “disruption”. Letteralmente vuol dire “rottura”. Si usa per spiegare lo “sconvolgimento” portato dal digitale in ogni settore economico, ovunque nel mondo.
In Italia se ne parla spesso con toni negativi: la tecnologia che instupidisce, fa chiudere aziende storiche e distrugge posti di lavoro. Meno scontato comprendere, ed utilizzare, l’enorme potenziale del digitale: dall’accesso gratuito e illimitato alla conoscenza alla possibilità di valorizzare, a bassi costi, attività artigianali legate ai territori. Per non parlare di quello che potrebbe significare digitalizzare una pubblica amministrazione ancora ferma a carta, timbri e marche da bollo.
Bene, se c’è un elemento ricorrente negli interventi degli speaker che si sono alternati sul palco del Marriott Hotel di Kigali (una trentina tra imprenditori, manager e investitori di ogni nazionalità, la metà abbondanti africani) è la piena consapevolezza della forza di questa “onda”. Tutti cercano di usarla al meglio per creare un nuovo volto al continente.
Le opportunità sono innumerevoli e trasversali a tutti i settori produttivi. Si va dalla creazione di un merito creditizio tramite l’analisi dei dati (la nigeriana Paylater), dall’accesso a micro-assicurazioni (Bima in Ghana e Jamii in Tanzania) all’assegnazione di un’identità digitale univoca (Inclusive ID in Ghana o Bitrika in Etiopia). Soluzioni reali a problemi che limitano la vita quotidiana di centinaia di milioni di abitanti del continente.
Ma le sfide da affrontare sono enormi. Vanno dalla costituzione di modelli economicamente sostenibili (gran parte delle nuove aziende tecnologiche in Africa non genera ancora profitti), all’accesso alla rete (solo un africano su tre per via della scarsa copertura e dei prezzi elevati dei dati). Proseguendo con la pressante urgenza di nutrire un continente in piena crescita demografica, dove la tecnologia dovrebbe diventare sempre più strumento per migliorare la produttività agricola. Per finire con la necessità degli stati africani di usare il digitale per includere settori informali che oggi arrivano a pesare l’80% del PIL: milioni di persone ai margini di benefici e contributi alla vita pubblica. Ma l’impressione è di respirare un cauto ottimismo, almeno a medio termine.
Si percepisce la consapevolezza, meno evidente pochi anni fa, che non basta copia-incollare i modelli della Silicon Valley, che serve tempo e denaro per riuscire a espandersi tra i mercati frammentati e differenti del continente e un sempre maggiore orgoglio di contribuire al dell’immaginario globale sugli africani e gli afrodiscendenti.
Tra qualche anno si apriranno scenari fantascientifici con le reti 5G (consentiranno di connettere gli oggetti, la cosiddetta IOT), la stampa 3D e forme evolute di robotica. Innovazioni che potrebbero restituire alcuni spazi di soggettività e autonomia a un continente marginalizzato per cinque secoli nello scomodo ruolo di fornitore di forza lavoro e materie prime del mondo.
Per seguire il secondo giorno del Summit su Twitter: @AfricaTechSMT #ATSKGL