Dense nuvole nere si stanno addensando sulla Costa d’Avorio in vista delle elezioni presidenziali del 31 ottobre. Manifestazioni e proteste degenerate in scontri con la polizia hanno caratterizzato gli ultimi giorni. Proteste che hanno provocato almeno 30 morti e tutte per mano delle forze di sicurezza, che hanno aperto il fuoco contro i manifestanti nella città di Bonoua, roccaforte dell’ex first lady, Simone Gbagbo, ad Abidjan e in altre città ivoriane. Scontri intercomunitari a macchia d’olio.
Caos ovunque
Folle composte prevalentemente da giovani hanno istituito blocchi stradali nella città sud-orientale di Bonoua per protestare contro la decisione del presidente Alassane Outtara di candidarsi per un terzo mandato alla fine di ottobre. Bonoua, 70 mila abitanti, città-bastione dell’opposizione a una ventina di chilometri a est dell’ex capitale coloniale francese Grand Bassam, è sempre stata teatro di scontri ed è spia del clima che va maturando nel Paese. Non a caso la strada principale che porta in Ghana è presidiata dalla polizia. Come altre città.
La casa dell’ex primo ministro della Costa d’Avorio e candidato alle presidenziali Pascal Affi N’Guessan è stata poi bruciata durante scontri intercomunitari. Non è chiaro chi ci sia dietro l’attacco alla residenza, situata nella sua roccaforte di Bongouanou, una località a nord di Abidjan. Un giovane di 20 anni sarebbe poi stato ucciso a colpi di machete nel villaggio di Kpass da persone che avevano appena saccheggiato una fattoria. Per rappresaglia, poi, i quartieri malinké sono stati assaltati da giovani provenienti da villaggi vicini. Bilancio di 4 morti e decine di feriti. A Dabou si sono infiltrati molti delinquenti, mentre quello che era iniziato come un confronto politico tra sostenitori del governo e sostenitori dell’opposizione è degenerato in scontri tra le etnie Diola e Adioukrou. Il prefetto della città ha detto che una milizia sconosciuta, ben formata e secondo alcuni armata di kalashnikov, di cui lui stesso ignora la provenienza, è arrivata per esacerbare il conflitto.
Il caso Gbagbo
Nella confusione crescente che sta animando la campagna elettorale in Costa d’Avorio, prove di distensione verso l’opposizione prova a fornirle, a modo suo, lo stesso presidente uscente Ouattara. In un’intervista rilasciata al quotidiano francese Le Monde ha spiegato che è favorevole al ritorno dell’ex presidente Laurent Gbagbo in Costa d’Avorio dopo le elezioni presidenziali del 31 ottobre, ma vuole mandare in prigione il suo ex alleato Guillaume Soro. Non ha poi dimenticato di dire che tutti coloro che fomentano le violenze saranno perseguiti. Un colpo al cerchio e uno alla botte. «Laurent Gbagbo tornerà, nessun problema, farò accordi perché possa tornare non appena il suo processo davanti alla Corte penale internazionale sarà terminato», ha sottolineato Ouattara. Ricordando, poi, la condanna a 20 anni di carcere per Gbagbo per la cosiddetta “rapina” della Banca Centrale degli Stati dell’Africa occidentale durante la crisi post-elettorale del 2010-2011, il presidente uscente ha precisato: «Non intendo concedere l’amnistia ma prendere una decisione che ne faciliti il rientro».
Il caso Soro
Ouattara, invece, invoca l’ergastolo per il suo ex alleato Guillaume Soro, 47 anni, leader della ribellione degli anni 2000 che lo ha aiutato a prendere il potere, accusandolo di aver fomentato un colpo di Dtato. «Per lui ci sarà la prigione. Non ci sono dubbi. Si merita l’ergastolo per quello che ha fatto», ha spiegato Ouattara. Soro è stato primo ministro proprio sotto la presidenza Ouattara e presidente dell’Assemblea Nazionale. I due hanno litigato nel 2019, quando Soro ha deciso di lasciare la presidenza del Parlamento. Non è chiaro se sia stato scaricato dal suo amico presidente. Di certo, Soro già meditava di candidarsi alle presidenziali. Anche Soro ha subito un processo, lampo e senza avvocati, durato poche ore con un esito scontato: 20 anni di carcere per appropriazione indebita di fondi pubblici. Soldi che avrebbe utilizzato per costruirsi una villa lussuosa ad Abidjan, certo non passata inosservata. I guai di Soro, però, non finiscono qua. La giustizia ivoriana lo persegue anche per cospirazione e attacco alla sicurezza dello Stato, insieme a una ventina di uomini del suo entourage. Per questo Soro si è rifugiato a Parigi: i suoi sostenitori, così come quelli di Gbagbo, hanno presentato le sua candidatura. Entrambe sono state invalidate.
Il fronte studentesco
Nell’intervista a Le Monde, poi, il presidente Ouattara ha minacciato azioni legali contro i leader dell’opposizione che hanno chiesto disobbedienza civile e boicottaggio attivo delle elezioni presidenziali. «L’opposizione – sottolinea Ouattara – provoca violenza perché non ha argomenti. Tutti coloro che organizzano questi boicottaggi saranno considerati responsabili, indipendentemente dalla loro rilevanza». Una minaccia, per niente velata, ai due suoi contendenti alla carica di presidente: Henri Konan Bedié, ex presidente, e l’ex primo ministro Pascal Affi N’Guessan. A causa delle violenze intercomunitarie da agosto hanno perso la vita circa 30 persone. Non certo un bel viatico verso il voto e non lo sono nemmeno le ultime dichiarazioni di Ouattara: «Noi che abbiamo più di 70 anni dobbiamo uscire dal gioco politico e dopo le elezioni modificherò la Costituzione per spazzare via tutta questa gente». Questa volta appare poco credibile. Intanto nell’agone politico sono entrati anche gli studenti del potente sindaco studentesco Fesci, vicino all’opposizione. Le sue manifestazioni, come era prevedibile, sono sfociate in scontri con la polizia e hanno messo ancora più benzina sul fuoco. Formalmente lo sciopero dei giorni scorsi – periodicamente ne viene convocato uno – è stato convocato per protestare contro le tasse scolastiche e universitarie, ma il sospetto è che quello delle tasse sia solo un pretesto per sostenere l’opposizione nella sua battaglia contro il presidente uscente. I giovani hanno dato fuoco ad almeno un autobus urbano e a due auto nel quartiere Rivera 2 di Abidjan. Forze di polizia e manifestanti, che hanno bloccato le strade principali, si sono scontrati in diversi punti del distretto di Cocody, che ospita l’Università Félix Houphouët-Boigny. Ufficialmente però i vertici di Fesci hanno assicurato che questo movimento non ha nulla di politico. «Stiamo protestando contro il Coges, ha detto Herman Boli, membro di Fesci. Il Coges, Comitato di gestione della scuola, richiede contributi da studenti e alunni ad ogni inizio dell’anno per gestire edifici e attrezzature scolastiche. «Una truffa», ha aggiunto Boli. Gli importi richiesti, in aggiunta alle quote di iscrizione, possono variare dai 5.000 franchi Cfa (7,5 euro) nelle scuole nella boscaglia ai 200mila Cfa (300 euro) negli istituti di istruzione superiore pubblici e privati. Il Fesci, sindacato vicino all’ex presidente Laurent Gbagbo, è spesso protagonista di manifestazioni a volte violente. Creato nel 1990 con l’avvento del sistema multipartitico, è visto come una milizia dai suoi critici più accaniti ed è stato accusato da ONG nazionali e internazionali di violenze contro gli oppositori di Gbagbo, oltre che di racket nell’ambiente studentesco. Ma i funzionari della Fesci smentiscono con forza.
Insomma, in Costa d’Avorio le tensioni si moltiplicano e coinvolgono sempre più città. Il timore, dunque, di un’escalation di violenze elettorali diffuse è forte. Da più parti arrivano appelli alla pace, per un processo elettorale pacifico e trasparente. Finora, però, sono caduti nel vuoto.
(Angelo Ravasi)