Il titolo e anche il contenuto di un articolo di Repubblica attribuito ieri a padre Kizito Sesana vengono da lui stesso smentiti con decisione.
Ieri sera la solita conferenza stampa delle sei è stata tenuta non dal ministro della Sanità ma direttamente dal presidente Uhuru Kenyatta. Ha detto che il primo paziente di coronavirus keniano è guarito, che il totale dei malati è 28, ma sono tutti in condizioni non gravi. Ha poi annunciato misure per alleviare il peso economico della crisi, ma anche che da domani sera sarà in vigore a tempo indeterminato il coprifuoco dalle 7 di sera alle 5 del mattino. Una misura che evita il totale shutdown, ma che sarà comunque difficile da far osservare. Stamattina le tivù locali intervistavano dal vivo la gente che andava a lavorare a piedi, lunghissime code che si muovono dai quartieri poveri verso i centri commerciali e le zone industriali, i gestori di bancarelle che già mettevano in vendita chapati e mandazi cucinati all’aperto, chiedendo il loro parere. Le risposte che tornavano più frequenti erano «se non lavoro, stasera la mia famiglia non mangia» e «meglio morire di corona o di fame?». Oggi farò un giro a visitare i bambini, per verificare che siamo pronti a sostenere questa situazione per almeno i prossimi due mesi.
Verso la fine della lunga conferenza stampa del presidente, un’amica italiana che risiede a Nairobi mi ha scritto: «Ma sei tu che ha scritto ‘sta roba?», e mi segnala questo link: https://www.repubblica.it/…/coronavirus_via_l_untore_bian…/… Prima che mi riesca di leggerlo mi arriva un messaggio di un amico napoletano, che è venuto a Kivuli già diverse volte, con la stessa segnalazione e la domanda incredula: «Ma è vero?».
In effetti l’ampio uso di citazioni dai miei post in questo pezzo fa credere al lettore che io condivida il titolo del breve articolo e la sua impostazione. Così non è. Non ho mai scritto o visto di persona ma neanche sentito parlare di «episodi di violenza fisica e verbale che hanno coinvolto in particolare statunitensi ed europei, tra cui molti italiani». Alcune opinioni della giornalista sono legate al mio virgolettato in modo che si potrebbe credere che la giornalista stia continuando a esporre il mio pensiero. Così non è. Addirittura nel virgolettato ci sono piccole aggiunte, come «Il governo è pronto a schierare l’esercito» e «Così si rischia il disastro». Quelle frasi, così come sono e come sono legate alla frase precedente, non sono mie, e rafforzano l’impressione di una visione della società keniana che chi mi conosce sa bene non essere la mia.
Vivo a Nairobi, dove mi sono sempre sentito ben accolto, dal 1988, e qui godo dell’amicizia e dell’affetto di tanti keniani. Alcuni di loro li considero miei maestri, altri miei figli. Questo articolo li offende.
Ho avuto in passato molti incontri, e anche profonde amicizie, con giornalisti professionisti di La Repubblica e di altri importanti mass media, e mai mi è accaduto che le mie parole siano state così mal interpretate. Che poi in un articolo – sia pur pubblicato solo online – di una testata che conosco come seria, sfugga un refuso come «missionario combiniamo» mi fa pensare che anche il livello dei correttori di bozze sia sceso parecchio.
Ringrazio invece i mass media che hanno riportato integralmente e correttamente i miei post, come Africa rivista, e le radio che mi hanno chiamato per brevi interviste in diretta.
Padre Renato Kizito Sesana è un missionario che vive tra Nairobi (Kenya) e Lusaka (Zambia), città dove ha avviato case di accoglienza per bambini e bambine di strada (si chiamano Kivuli, Tone la Maji, Mthunzi…) e molte altre iniziative principalmente rivolte ai giovani, rendendoli protagonisti (come la comunità Koinonia). È cofondatore della onlus Amani, che dall’Italia sostiene la sua opera. Da giornalista, ha sempre avuto una viva attenzione alla comunicazione, dapprima come direttore di Nigrizia, quindi fondando a Nairobi la rivista New People e rendendosi presente sui mezzi di comunicazione keniani e internazionali.