Cronaca di una movimentata giornata per la “rimozione” di qualche decina di ragazzi di strada che hanno la loro base nel centro città. Sono i più a rischio, per sé stessi e per gli altri. Adesso hanno un tetto.
In risposta all’appello che ho lanciato il 26 marzo durante il telegiornale della sera, lo Street Families Rehabilitation Trust Fund, una fondazione di origine governativa per la riabilitazione della gente di strada, mi ha contattato domenica offrendosi di sostenere Koinonia per un intervento volto a rimuovere 40 dei ragazzi più a rischio da una “base” storica in centro città. Più a rischio per loro stessi e per gli altri. Alcuni di loro sono ormai teenagers, ed hanno alle spalle quasi 10 anni di vita di strada. Il Fund ci aiuta nelle pratiche legali e copre i costi vivi per i prossimi 4 mesi. Koinonia ci mette gli spazi, l’organizzazione, gli operatori sociali… e il rischio.
Ci siamo messi in moto pensando di poter concludere l’operazione entro lunedì. Ma alle 16 del pomeriggio mi rendo conto che non siamo ancora pronti, e non lo saremo entro le 19, quando scatta il coprifuoco. Mando un sms ai responsabili dello Street Families Fund. Quasi contemporaneamente, ma lo saprò più tardi, qualcuno decide che i ragazzi devono essere rimossi, e organizza una rimozione forzata. I ragazzi si rifiutano, perché non si fidano di nessuno in autorità. Si scatena uno scontro con scene da guerriglia che finisce nelle notizie della sera. Dallo Street Families Fund mi suggeriscono di aspettare qualche giorno. Jack dice: «Domani mattina andiamo a parlare coi ragazzi, usando i nostri metodi. I ragazzi ci conoscono e vedrai che accetteranno di venire con noi».
Così ieri mattina, martedì, mentre noi organizzavamo materassi, coperte e vestiti puliti, Jack e Robert sono andati in centro, si sono seduti sul marciapiede e hanno cominciato a parlare con i ragazzi. Poco dopo mezzogiorno hanno noleggiato un matatu e in meno di un’ora erano nella nostra casa di Kerarapon con 35 ragazzi che ci son venuti di loro spontanea volontà. È stato bello vedere Kavaya, John, Erick, Harrison, Salmin, Victor, Kirikou e altri allegramente indaffarati a finire la pulizia e disinfestazione generale, mentre i nuovi arrivati familiarizzavano col posto e giocavano a pallone, ancora vestiti con gli stracci della strada.
Godendo il privilegio della mia età io stavo in disparte a guardare, con l’altro anziano di Koinonia, John. Alcuni ragazzi hanno cominciato ad avvicinarsi. Uno di loro. forse 16 anni, dice senza preamboli: «Vorrei fare il meccanico». Gli risponde John: «È molto bello che tu abbia già un programma di vita, sarà facile camminare insieme. Però dovrai rinunciare a quella bottiglietta con la benzina che stavi annusando». Il ragazzo si allontana ad occhi bassi. Mi viene in mente il giovane ricco che alla proposta di Gesù non vuole rinunciare alle sue ricchezze e se ne va. Ma son tranquillo perché so per esperienza che entro un mese, usando la convinzione e l’esempio, questo ragazzo rinuncerà alla bottiglietta.
I dialoghi sono brevi, i ragazzi sono tosti, accompagnarli nei prossimi mesi per la loro crescita non sarà facile. Però fra di loro potrebbero esserci i futuri Erick, Harrison, Besh. E ognuno avrà modo di scoprire le ricchezze che ha dentro – ben più importanti della bottiglietta di benzina – e arricchire noi. Rientro a Kivuli prima che incominci il coprifuoco. I ragazzi stanno ancora giocando a pallone. Ventiquattro ore fa erano ingaggiati in uno scontro violento. Hanno già fatto un grande passo avanti.
Alle 8 mi chiama Jack: «Qui tutto tranquillo, i ragazzi stanno preparandosi i letti. Sono forti. Se Mr. Corona dovesse farsi vivo sono pronti a sgranocchiarlo come una pannocchia di mais». Meglio non illudersi e non fare battute che potrebbero illuderli. Insegna loro a rispettare le regole, dico a Jack.
Dopo un’ora, una chiamata di tono ben diverso. «Un ragazzo sta malissimo, non riesce a respirare, ha bava alla bocca». Ma non potrebbe essere in crisi di astinenza? «No, mi sembra una cosa molto più grave, potresti mandarci Bernard con l’auto per portarlo all’ospedale?». Chiamo Bernard, membro della comunità e autista ben conosciuto dagli amici che ci hanno visitato a Nairobi. Sta a poche centinaia di metri da Kivuli. «Bernard, so che c’è il coprifuoco, ma potresti venire per prendere l’auto e portare un ragazzo da Kerarapon all’ospedale?». «No problem, arrivo. Convinco io la polizia». Ma non arriva. Bloccato dalla polizia. C’è un’altra chiamata da Jack: «Problema risolto. Uno degli altri ragazzi mi ha detto che il malato ha regolarmente crisi di asma, e aveva un inalatore nei vestiti vecchi che avevamo deciso di bruciare domani. L’abbiamo recuperato. Domattina lo portiamo al dispensario di Kivuli per una visita».
Bene. Possiamo tutti andare a dormire.
Padre Renato Kizito Sesana è un missionario che vive tra Nairobi (Kenya) e Lusaka (Zambia), città dove ha avviato case di accoglienza per bambini e bambine di strada (si chiamano Kivuli, Tone la Maji, Mthunzi…) e molte altre iniziative principalmente rivolte ai giovani, rendendoli protagonisti (come la comunità Koinonia). È cofondatore della onlus Amani, che dall’Italia sostiene la sua opera. Da giornalista, ha sempre avuto una viva attenzione alla comunicazione, dapprima come direttore di Nigrizia, quindi fondando a Nairobi la rivista New People e rendendosi presente sui mezzi di comunicazione keniani e internazionali.