I conflitti del Congo e del Biafra negli anni Sessanta spezzarono l’entusiasmo e l’ottimismo portati dalle indipendenze. Furono per l’Africa le prime crisi armate globalizzate e mediatizzate: ne parlarono i giornali e le tivù di tutto il mondo. Colpirono l’opinione pubblica delle ex potenze coloniali e smossero la compassione internazionale.
di Mario Giro – foto Afp
Il 1960 non fu solo un anno, fu anche un decennio. In quei dieci anni si compirono le indipendenze africane, salvo che per i Paesi dell’apartheid (Rhodesia e Sudafrica) e le colonie portoghesi, per i quali si può dire davvero che l’indipendenza è stata una conquista e una dura lotta. Per le colonie inglesi, francesi e belghe invece si trattò di una concessione, ambigua ma in qualche modo facilitata. Non ci fu vera guerra, che venne solo dopo.
Con i conflitti in Congo e Biafra si trasformò per sempre la percezione che gli europei avevano dell’Africa nera. Sotto la colonia l’idea era quella di un’Africa bonacciona, addormentata, ingenua. Un’Africa «Banania», dalla famosa réclame francese, un’Africa dolce, semplificata e sottomessa. Ma dopo le indipendenze tale percezione cambia brutalmente: le guerre del Congo (1960-65) e del Biafra (1967-70) mostrano un’Africa crudele, dura, sanguinaria, che ha bisogno dell’Europa e del mondo per sopravvivere senza massacrarsi o autodistruggersi. Il Congo all’indomani dell’indipendenza fu sconvolto da disordini e sommosse sfociate in aperte rivolte armate e tentativi di secessione da parte di varie province in opposizione al governo centrale. Gli eventi finirono con il coinvolgere più o meno direttamente diverse nazioni estere, inserendosi nell’ambito del più ampio scontro mondiale tra Occidente e blocco sovietico. La guerra civile nigeriana, nota anche come guerra del Biafra, fu innescata dal tentativo di secessione delle province sudorientali della Nigeria di etnia Igbo, autoproclamatesi Repubblica del Biafra, desiderose di riappropriarsi delle proprie risorse (in primis, petrolifere).
Etniche, tribali… civili
Improvvisamente l’Africa appare complicata, intricata e incomprensibile. L’idea generale è: perché si ammazzano così tanto? La consapevolezza delle responsabilità di una decolonizzazione fallita o imperfetta, delle conseguenze dovute alla Guerra fredda o all’accaparramento delle risorse verrà dopo, verso la fine degli anni Settanta, parzialmente alterata dall’ideologia terzomondista.
Subito entrambi i conflitti apparvero come crisi interne, classificati come “guerre etniche” o tribali. In realtà, dietro questa terminologia fumosa si celava il tentativo di differenziare tali guerre da quelle degli europei o degli altri, apparentemente provviste di caratteri ideologici o nazionali. Alla fin fine tribale, etnico o nazionale significano la medesima cosa: guerra civile. Sia la guerra del Congo come quella del Biafra segnarono importanti esordi. Nel primo caso si trattò dell’intervento delle Nazioni Unite come forza di interposizione; nel secondo, dell’avvento delle Ong internazionali e dell’intervento umanitario della società civile mondiale in genere.
Missioni Onu e MSF
La Onuc (operazione Onu in Congo) dimostrò tutti i difetti delle successive operazioni Onu e resta nella memoria internazionale come l’operazione nella quale viene ucciso il segretario generale Dag Hammarskjöld. L’Africa rischiò di divenire la “tomba” politica delle aspirazioni delle Nazioni Unite. La missione fallì proprio a causa delle interferenze delle potenze ex coloniali e globali. In Congo si comprese che l’Onu da sola non sarebbe riuscita se i Paesi coinvolti non l’avessero lasciata fare. In realtà tutta l’operazione in Congo fu manipolata. Noi italiani ricordiamo di questa guerra il massacro dei nostri 13 aviatori (sotto bandiera Onu) a Kindu.
Di conseguenza, due anni dopo, il governo nigeriano del generale Gowon rifiutò qualsiasi ingerenza Onu per il Biafra, sottolineando che si trattava di questione interna. Al massimo accettò una debole influenza dell’Organizzazione dell’unità africana. Ma anche questo mostrò subito al mondo l’altra faccia della medaglia e cioè che, senza l’Onu (per quanto difettosa e fragile), la crisi non si poteva internazionalizzare. Così la guerra del Biafra si svolse a porte chiuse: si massacrò senza quartiere lontano dagli occhi del mondo. L’unica reazione fu quella della società civile internazionale che non accettò le “porte chiuse” e le forzò. La nascita di Médecins sans frontières segnava precisamente il rifiuto delle frontiere chiuse, dietro le quali si poteva uccidere senza controlli. Fu l’inizio della “ingerenza umanitaria” e della “responsabilità di proteggere” attuali.
L’attenzione, la stanchezza
Il Congo e il Biafra furono per l’Africa le prime crisi armate globalizzate e largamente mediatizzate: ne parlarono i giornali e le tivù di tutto il mondo. Oltre alle Chiese e alla Croce rossa internazionale, fu coinvolta anche la società civile.
Si trattò dunque di crisi emotive transnazionali: assieme alla grande carestia indiana del 1966, le due guerre africane smossero la compassione internazionale. In particolare la “fame per guerra” del Biafra fu la prima a finire in prime time televisivo (i bambini con il pancione). Inoltre, sia nel caso dei Baluba in Congo che in quello degli Igbo in Nigeria, si iniziò ad utilizzare il termine di “genocidio”, provocando una immedesimazione internazionale.
La tensione emotiva per i drammi d’Africa continuerà a salire con la carestia (nascosta) del Sahel degli anni Settanta, poi con la grande fame dell’Etiopia degli anni Ottanta e infine con l’inizio della crisi somala del 1992. Da quel momento inizia una certa insofferenza nei confronti delle emergenze africane: il perdurare di conflitti incomprensibili e il terrorismo (col jihadismo che ne diviene il modello per eccellenza) fanno compiere progressivamente all’opinione pubblica mondiale un’inversione di tendenza che diviene ancor più marcata con la crisi migratoria attuale.
L’ANNO DELL’AFRICA
Nel 1960, 17 colonie africane divengono indipendenti: è l’anno che sancisce l’emancipazione politica del continente. A sessant’anni di distanza, dal numero 4/2020 della rivista pubblichiamo una memoria sintetica di quegli eventi. Ne è autore Mario Giro, docente di relazioni internazionali, esperto d’Africa, già viceministro degli Affari esteri, membro della Comunità di Sant’Egidio.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 3/2021 della rivista. Per acquistare una copia della rivista, clicca qui, o visita l’e-shop