Sta utilizzando la sua fama di cantante per dire no alle mutilazioni genitali femminili (Mgf). Lei si chiama Inna Modja, viene dal Mali e anch’essa è una vittima di questa pratica antichissima (che erroneamente viene associata all’Islam, ma risale invece a epoche precedenti). «Come donna africana che ho vissuto sulla mia pelle la mutilazione genitale femminile – ha detto recentemente -so che cosa è e so quanto sia dannosa. Voglio proteggere le ragazze più giovani e quelle delle generazioni a venire, perché questa pratica deve finire!». Modja è riuscita a riconquistare l’autostima dopo la chirurgia ricostruttiva. «La chirurgia ricostruttiva mi ha aiutato a guarire – ha raccontato -. Mi ha aiutato a guarire fisicamente e psicologicamente, e in qualche modo mi ha riparato. Ma quando si dice la riparazione, c’è sempre una cicatrice. È come quando si rompe un vetro e il nastro adesivo lo rimette insieme. Il vetro è riparato, ma si vedono sempre le linee di rottura. La mia escissione è la mia linea di interruzione».
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sono tra 100 e 140 milioni le bambine, ragazze e donne nel mondo che hanno subito una forma di mutilazione genitale. L’Africa è di gran lunga il continente in cui il fenomeno è più diffuso, con 91,5 milioni di ragazze di età superiore a 9 anni vittime di questa pratica, e circa 3 milioni di altre che ogni anno si aggiungono al totale.
La pratica è documentata e monitorata in 27 Paesi africani e nello Yemen. In altri Stati (India, Indonesia, Iraq, Malesia, Emirati Arabi Uniti e Israele) si ha la certezza che vi siano casi, ma mancano indagini statistiche attendibili. Meno documentata è la notizia di casi di Mgf avvenute in America Latina (Colombia, Perù), e in altri Paesi dell’Asia e dell’Africa (Oman, Sri Lanka, R. D. Congo) dove tale pratica non è mai assurta a tradizione vera e propria.
In 7 Stati (Egitto, Eritrea, Gibuti, Guinea, Mali, Sierra Leone e Somalia) e nel Nord del Sudan il fenomeno tocca praticamente l’intera popolazione femminile. In altri quattro paesi (Burkina Faso, Etiopia, Gambia, Mauritania) la diffusione è maggioritaria ma non universale. In altri 5 (Ciad, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Kenya e Liberia) il tasso di prevalenza è considerato medio – tra il 30 e il 40% della popolazione femminile, mentre nei restanti paesi la diffusione varia dallo 0,6 al 28,2%.
Anche il tipo di intervento mutilatorio imposto varia a seconda del gruppo etnico di appartenenza. Il 90% delle Mgf praticate è di tipo escissorio (con taglio e/o rimozione di parti dell’apparato genitale della donna), mentre un decimo dei casi si riferisce all’azione specifica della «infibulazione», che ha come scopo il restringimento dell’orifizio vaginale e può a sua volta essere associato anche a un’escissione.
L’Onu spera di eliminare le mutilazioni genitali femminili entro il 2030. A questo sforzo danno un grande aiuto le testimonianze e l’attivismo di star come Inna Modja.