di Tommaso Meo
La conferenza sui cambiamenti climatici appena conclusa doveva finalmente essere “la Cop dell’Africa”, e non solo perché si è tenuta per la prima volta sul suolo africano, a Sharm el-Sheikh, in Egitto. Guidati dal Cairo come portavoce, i Paesi del continente, hanno avuto l’opportunità di far sentire maggiormente la propria voce nei negoziati e il testo finale che esce da questa Cop è parzialmente favorevole all’Africa e al sud globale, anche se non mancano le critiche.
Il fondo di compensazione (loss and damage) per i Paesi più colpiti dagli effetti del cambiamento climatico, messo in agenda per la prima volta a Sharm el-Sheikh, e approvato ieri dopo lunghe trattative, è di sicuro un successo per il continente per certi versi insperato alla vigilia.
Il coordinatore senior del gruppo africano su perdite e danni, Alpha Kaloga, ha affermato che si tratta di un passo importante. “Oggi è un giorno simbolico, è un giorno simbolico in termini di impatto che questa decisione avrà sul futuro” ha detto. “I Paesi in via di sviluppo si battono da tre decenni per avere il riconoscimento delle perdite e dei danni legati al cambiamento climatico”.
Dello stesso avviso è anche Tasneem Essop del Climate Action Network ha dichiarato: “È un enorme risultato ottenere un accordo per istituire un fondo per perdite e danni dopo 30 anni che i piccoli Stati insulari, i Paesi vulnerabili, e i paesi in via di sviluppo cercano di inserirlo nell’ordine del giorno”. L’approvazione del fondo “è il risultato di una lotta collettiva” ha dichiarato. Il ministro della Green Economy e dell’Ambiente dello Zambia, Collins Nzovu: ha aggiunto che “Questo è un risultato molto positivo per 1,3 miliardi di africani”.
“Questa Cop ha compiuto un passo importante verso la giustizia. Accolgo con favore la decisione di istituire un fondo per perdite e danni e di renderlo operativo nel prossimo periodo”, ha affermato a questo proposito il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. Il fondo è essenziale, “ma non è una risposta se la crisi climatica spazza via dalla mappa un piccolo Stato insulare o trasforma un intero Paese africano in un deserto” ha aggiunto Guterres, ricordando una volta di più la linea rossa da non oltrepassare degli 1,5 gradi.
L’istituzione del fondo segna però un successo per la presidenza egiziana della Cop, che ha messo in agenda l’annosa questione, tenendo invece il punto sulla mitigazione senza nessun nuovo taglio ambizioso deciso a Sharm. Se la prima presa di posizione può consolidare il ruolo del Cairo come guida dei Paesi africani in materia ambientale, la seconda potrebbe garantire all’Egitto la riconoscenza degli Stati del Golfo esportatori di idrocarburi, oltre che di molte nazioni africane, decise a sfruttare le proprie riserve di gas, prima di pensare al clima.
L’altra grande partita legata all’Africa durante Cop riguardava infatti la richiesta di molti Stati africani ai partner occidentali di non interrompere i finanziamenti ai progetti di gas nel continente, necessari, secondo loro, allo sviluppo delle proprie economie. I leader africani sostengono che i loro Paesi devono poter sfruttare le loro riserve per l’elettrificazione, ma si rivolgono anche all’Europa, dove molti Pesi stanno cercando un’alternativa al gas russo. Qualsiasi accordo della Cop27 dovrebbe riflettere il diritto dei Paesi africani a utilizzare le loro riserve di gas naturale, aveva detto, tra gli altri, il presidente della Banca africana di sviluppo, Akinwumi Adesina. Il testo, in questo senso, rimanendo molto vago, lascia spazio a una ripresa di slancio per gli accordi sul gas, con buona pace delle emissioni.
Un risultato che ha scontentato molti attivisti per il clima. Babawale Obayanju di Friends of the Earth Africa, denuncia il fatto che si parli solo di “riduzione graduale senza sosta dell’energia a carbone”. Si tratta, ha affermato, di “un disastro per l’Africa e per il clima. Anche il petrolio e il gas devono essere gradualmente eliminati, in modo rapido ed equo”. Per Obayanju “non abbiamo bisogno di più estrazione di gas in Africa, devastando le nostre comunità a beneficio dei Paesi ricchi e delle multinazionali. Ciò di cui avevamo bisogno dalla Cop27 era un accordo per una rapida ed equa eliminazione di tutti i combustibili fossili”.
Anche la giovane attivista ambientale keniota Elizabeth Wathuti, non è soddisfatta ma promette battaglia: “La Cop27 potrebbe essere finita, ma la lotta per un futuro sicuro no. Ora è più urgente che mai che i leader politici lavorino per concordare un forte accordo globale per proteggere e ripristinare la natura al prossimo Global Biodiversity Summit di Montreal”. Wathuti si fa portatrice di una richiesta “di partenariati per una transizione energetica giusta per accelerare l’eliminazione graduale del carbone e aumentare le energie rinnovabili”. Chiede “un Patto per mobilitare – insieme alle istituzioni finanziarie internazionali e al settore privato – il sostegno finanziario e tecnico alle grandi economie emergenti per accelerare la loro transizione verso le energie rinnovabili”.
Foto di apertura: TONY KARUMBA / AFP