Patrimonio costiero africano ad alto rischio per il cambiamento climatico

di claudia
algeria tipasa

I siti del patrimonio costiero naturale e culturale dell’Africa potrebbero andare persi a causa del cambiamento climatico. Un team globale di esperti del rischio climatico, guidato da Nicholas Simpson dell’African Climate and Development Initiative dell’Università di Città del Capo, ha infatti scoperto che 56 dei 284 siti del patrimonio africano, molti dei quali sono stati assegnati all’Outstanding Universal Value dall’Unesco, sono a rischio a causa dell’erosione delle coste ma anche della possibilità di eventi estremi come le inondazioni di massa.

“Un totale di 56 siti del patrimonio – ossia il 20 per cento – sono a rischio , compresi i resti di Tipasa in Algeria e la zona dei siti archeologici del Nord Sinai in Egitto”, si legge nel rapporto.

Siti naturali ma anche resti di antichi tesori architettonici sono tra i siti minacciati. “Entro il 2050, il numero di siti esposti dovrebbe più che triplicare, raggiungendo quasi 200, a causa delle alte emissioni”, ha riferito il team nei risultati dello studio pubblicati su Nature Climate Change precisando che almeno 35 dei 213 siti del patrimonio naturale (16 per cento) e 21 dei 71 siti del patrimonio culturale (30 per cento) sono a rischio.

Sulla costa dell’Africa orientale, Fort Jesus a Mombasa, il pilastro di Vasco Da Gama a Malindi, e le due città portuali di Kilwa Kisiwani e Songo Mnara in Tanzania sono in pericolo. In Kenya rischiano di andare persi a causa del mare anche il Siyu Fort a Lamu, le grotte degli schiavi di Shimoni e la moschea Kongo del XVI secolo a Kwale e Jumba La Mtwana a Kilifi.

Dalla ricerca condotta è emerso che il Mozambico ha la più grande area di patrimonio costiero esposto con un valore mediano superiore a 5.683 km2, seguito da Senegal (2.291 km2), Mauritania (1.764 km2) e Kenya (822 km2). Tanzania, Mozambico, Costa d’Avorio, Benin, Togo e Sudafrica entro la fine del secolo avranno almeno 100 volte più superficie di patrimonio esposto di quella attuale.

Secondo gli esperti la maggior parte dei Paesi coinvolti non ha dimostrato un’adeguata capacità di adattamento per anticipare o stabilire una protezione del patrimonio commisurata alla gravità dei rischi.

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