I senegalesi hanno un’autentica passione per i montoni, a cui riservano cure speciali e anche confortevoli stanze con terrazza. In Senegal gli ovini sono considerati animali domestici. Spesso e volentieri vivono in casa dei loro padroni, ricevendo cure e attenzioni analoghe a quelle riservate, in Occidente, a cani e gatti. Vengono accuditi, lavati e trattati con rispetto assoluto. «Ma loro sono animali, noi siamo esseri umani»
di Stefania Ragusa – foto di Christian Bobst e John Wessels / Afp
Sakho & Mangane è una serie tivù poliziesca, ambientata e prodotta a Dakar, che ha appassionato il pubblico senegalese e non solo. Verso la fine del quarto episodio si vede Basile, uno dei due detective protagonisti – giovane, avvenente e sfrontato – entrare nel ricercato appartamento della giornalista – giovane, avvenente e rampante – con cui ha appena allacciato una relazione, portando tra le braccia un dono infiocchettato: un tenero agnellino. La giornalista si schermisce per un istante, poi accoglie l’omaggio con soddisfazione, lo accarezza teneramente e lo porta in casa. Non c’è niente di stravagante o surreale in questa scena.
Razza pregiata
Offrire una pecora a chi si ama, in particolare a ridosso della festa di Tabaski, è una pratica comune in Senegal, dove gli agnelli sono considerati animali domestici, nel senso che spesso e volentieri vivono presso la domus dei loro padroni, ricevendo cure e attenzioni in parte – ma solo in parte – analoghe a quelle riservate nel nevrotico Occidente a cani e gatti. A Dakar le pecore hanno spesso a disposizione confortevoli stanze con terrazza.
Ousmane T. è un senegalese benestante. Abita in centro, al confine tra i quartieri di Rebeuss e della Medina, ma dispone di un’altra grande casa di famiglia al Plateau, il centro-centro della capitale. E là tiene una trentina di pecore, che occupano un piano intero. Quante siano esattamente non lo sa, non vuole saperlo o, quanto meno, dirlo, perché contarle non porta bene. Sono tante e accudite con grande cura: vaccinate, lavate regolarmente, coccolate e ben nutrite. Ousmane segue personalmente i parti e più di una volta gli è capitato di prendersi cura di agnellini prematuri. Alcuni esemplari sono “ladoum”, una razza ovina particolarmente pregiata, con un pelo sontuoso, candido e talvolta macchiato di nero, corna ritorte e simmetriche, un carattere imperiale e dimensioni eccezionali.
Concorsi di bellezza
In occasione dell’Id al-Adha (o Eid al-Kabir), la festa musulmana del sacrificio chiamata in Senegal Tabaski, sacrificare un ladoum è una forte affermazione di status per i ricchi e un sogno per i poveri. La selezione del ladoum, frutto di un incrocio genetico fra il touabire mauritano e il bali-bali maliano, è iniziata negli anni Settanta a Thiès, città a una settantina di chilometri da Dakar. Qui, l’allevamento del ladoum continua a essere un’attività caratteristica e ben remunerata nonché oggetto di ricerche e indagini accademiche. Un dato interessante che emerge dagli studi è che gli allevatori di ladoum hanno in genere un buon livello di istruzione e si dedicano a questa attività con molto zelo ma qualificandola una sorta di hobby. Per vivere fanno altro, le pecore pregiate corrispondono a una sorta di passione.
Per valutare la bellezza della pecora ladoum oggi in Senegal vengono regolarmente organizzate gare. E su Facebook sono presenti pagine dedicate ai singoli campioni. Galactic, che ha trionfato al Salone dell’allevamento Saladam del 2018, aveva il suo fan club.
Amore e sacrificio
Un ladoum “normale” sui 300.000 franchi Cfa (circa 450 euro), tre volte il prezzo di una pecora peul-peul. Ma il valore sale vertiginosamente, dal milione di franchi Cfa in su, per gli arieti campioni, quelli particolarmente puri e belli e destinati all’accoppiamento. I proprietari di questi esemplari in genere non li vendono, per una questione di orgoglio e ritenendo più vantaggioso affittarli per la riproduzione. «Io comunque amo tutte le mie pecore», dice Ousmane T.
Una cosa difficile da capire, per l’osservatore occidentale, è come si possa conciliare questo “amore” col fatto che poi le pecore vengano sacrificate e mangiate. Per i senegalesi non c’è niente di bizzarro in questo. «Gli animali sono stati creati da Dio per essere a disposizione degli uomini e gli uomini sono tenuti a trattarli con rispetto, avendo però il diritto di utilizzarli e nutrirsene», spiega Ousmane T. «Essere sacrificati a Dio il giorno di Tabaski, poi, è un grande onore per gli ovini, che in questo modo vanno direttamente in Paradiso». Ousmane T. si reca talvolta in Mali per comprare ovini che poi rivende a Dakar. Raramente, però, cede a pagamento gli animali che si è cresciuto, anche se talvolta li scambia con esemplari più pregiati. «Tenendo conto di come li ho tirati su e di come hanno mangiato dovrei venderli, ladoum o no, a un prezzo altissimo», spiega. «Preferisco aspettare Tabaski, o che con la loro carne si nutra la mia famiglia. Gli allevamenti intensivi stanno facendo la loro comparsa anche qui. E a me quel modo di tenere gli animali fa orrore».
Mai confondersi
Ogni settimana, con l’aiuto di un collaboratore o dei nipoti più piccoli, viene il momento di fare un bagno. Molti senegalesi, che hanno poco spazio e poca acqua, portano agnelli e pecore al mare. E anche questo, per l’osservatore occidentale, è uno spettacolo curioso: pecore insaponate, in genere scortate da ragazzini, che giocano tra le onde. Ma l’acqua salata non fa bene alla loro pelle, dice il nostro interlocutore. «Io, che ho i mezzi per farlo, per le mie uso solo acqua dolce».
Ahmed, un amico che è venuto a trovarlo, annuisce. Lui, nella sua villetta a Point E, un quartiere residenziale della capitale, ha tenuto per un po’ alcuni splendidi ladoum. Poi ha deciso di portarli a Yoff, dove vive la sua famiglia d’origine, perché i vicini, europei, avevano cominciato a lamentarsi. Ahmed è imprenditore nel campo della ristorazione. L’allevamento è una passione. Per le sue bambine le pecore sono animali da compagnia. Sin da piccole hanno giocato con loro con lo stesso spirito con cui un bambino europeo gioca col cane o il gatto. Senza però mai dimenticare chi è l’essere umano e chi l’animale.
Ahmed viene regolarmente in Italia per ragioni famigliari e dice di trovare incomprensibile il modo in cui spesso vede trattati i pet: «Come sostituti dei figli». «I miei agnelli sono importantissimi per me. Guardarli mi riempie di gioia», gli fa eco Ousmane. «Ma loro sono animali e noi siamo esseri umani. Dio ci ha dato posti diversi nel mondo, e non dimenticarlo fa parte del nostro dovere. Possiamo vivere vicini ma senza confonderci».
Questo articolo è uscito sul numero 2/2022 della Rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui, o visita l’e-shop.