Per la pace e per società più inclusive occorre cultura e dialogo

di claudia

di Gianfranco Belgrano

Occorre superare la semplice convivenza per abbracciare le diversità attraverso dialogo, diplomazia e cultura: lo ha sottolineato Charlotte Sparre, vice direttrice del Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI). L’abbiamo incontrata a margine dell’ultima edizione di Med Dialogues che si è tenuta a Roma.

In un mondo segnato da conflitti, divisioni, incomprensioni e contrasti occorre “andare oltre” la semplice coesistenza, occorre “capirci veramente e ascoltarci di più, riconoscendo le comuni basi della nostra umanità, ma anche abbracciando la diversità che esiste tra di noi”. Charlotte Sparre la incontriamo a margine dell’ultima edizione di Med Dialogues, a Roma, e con lei, che è vice direttrice dello Stockholm International Peace Reasearch Institute (Sipri), viene naturale provare a sollevarsi dalle vicende correnti – qualunque sia la latitudine – e provare a ragionare non solo sui conflitti veri e propri in corso (la sua organizzazione monitora proprio il commercio delle armi) ma anche sulle società occidentali, sulle trasformazioni sociali in atto, e sugli strumenti a nostra disposizione per costruire società nuove.

Charlotte, lei ha sottolineato che non si tratta semplicemente di trovare modi di convivenza. 

“Penso che non si tratti solo di convivenza, perché questo implica semplicemente coesistere uno accanto all’altro. Ma, appunto, dobbiamo abbracciare la diversità che esiste tra di noi. Questa diversità si manifesta in molte forme: cultura, genere, esperienze politiche che ci hanno formati. È fondamentale utilizzare strumenti come la diplomazia, il dialogo e la cultura per aprire le menti, promuovere empatia e arrivare a una situazione in cui riconosciamo che nella diversità che rappresentiamo come insieme possiamo imparare gli uni dagli altri”.

A Med Dialogues si è parlato molto delle diaspore, di come queste costituiscano una parte significativa della popolazione in Europa e possano rappresentare esse stesse un ponte di dialogo. 

“Nel migliore dei casi la diaspora può fungere da ponte, comprendendo sia la cultura di origine, quella dei loro genitori o nonni, sia la cultura del Paese in cui vivono. Di recente ho lavorato con imprenditori originari del Medio Oriente e del Nord Africa che operano in Europa. È interessante vedere come possano attingere alle migliori idee di entrambe le sponde del Mediterraneo, sia nel campo culturale sia in quello commerciale e innovativo. Tuttavia, dobbiamo affrontare anche le sfide legate all’integrazione in molti paesi europei. Nel peggiore dei casi, si crea una divisione “noi contro loro”, e questo è un aspetto che dobbiamo superare trovando una cultura comune e modi efficaci per integrare politicamente, economicamente e socialmente la diaspora nelle nostre società”.

Charlotte Sparre, vice direttrice del Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI)

Qual è il ruolo dei media in questo contesto? 

“I media hanno un ruolo fondamentale nel definire il tono, scegliere quali storie raccontare e come raccontarle. È importante riflettere sull’origine delle domande che facciamo e su come sono inquadrate. La cultura, ancora una volta, può sfidarci in questo senso, riflettendo sulla società e spingendoci a pensare in modo più critico. Nei conflitti, ad esempio, è essenziale che i media siano sensibili e rispettosi, soprattutto nei confronti di quelle persone le cui voci spesso vengono marginalizzate”.

Pensa che le donne debbano essere coinvolte di più nel plasmare un mondo migliore?

“Il mondo in cui viviamo è estremamente complesso e richiede una combinazione di dimensioni: sicurezza, politica, economia, società e cultura. Nessun singolo elemento può risolvere tutto. Tutte le risorse disponibili, incluse quelle offerte dalle donne, sono essenziali per creare un dialogo migliore e risolvere pacificamente i conflitti interni ed esterni alle società”.

Oggi, però, sembra che la politica sia concentrata sulla militarizzazione e la sicurezza secondo l’assioma che più armi equivalgono a maggiore sicurezza. Cosa ne pensa?

“È comprensibile che, in un momento di maggiore insicurezza, anche in Europa, si tenda a privilegiare la sicurezza. Tuttavia, credo fermamente che per ottenere una sicurezza a lungo termine sia necessario adottare un approccio olistico, che consideri la sicurezza nazionale, quella umana e quella ambientale come dimensioni interconnesse. Non si può pensare che una soluzione puramente militare sia sufficiente. Dobbiamo lavorare sulla forza economica, sulla coesione sociale, sulla giustizia e sulla comprensione reciproca”.

Il mondo occidentale tiene davvero conto del punto di vista del Sud globale? 

“No, non abbastanza. Ecco perché sono necessari dialoghi seri, in cui si ascoltino le prospettive altrui. Non sempre possiamo convincerci reciprocamente che una parte abbia ragione e l’altra torto, ma è fondamentale capire perché arriviamo a conclusioni diverse. Il Nord globale, per mancanza di un termine migliore, deve fare uno sforzo maggiore per ascoltare e comprendere le prospettive del resto del mondo”.

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