Perché il futuro dell’Africa si gioca nei prossimi trent’anni

di claudia

Il cambiamento demografico può essere la più grande minaccia o la più grande opportunità per l’Africa e per il mondo, in base a chiare azioni dei leaders, o alla mancanza di esse.

di Angelo Ferrari – Agi

Il futuro dell’Africa si gioca nei prossimi trent’anni. Il 2050 per il continente, se non si mettono in campo azioni efficaci per uno sviluppo sostenibile, rischia di rappresentare una catastrofe per molti paesi, in particolare per quelli dell’Africa subsahariana. Su questo punto concordano molti autorevoli studi.  

Per questo è necessario avviare strategie adeguate sia da parte dell’Africa sia da parte del mondo occidentale, in particolare l’Europa, altrimenti il continente è destinato a sprofondare, oppure i suoi abitanti sono destinati a trasferirsi altrove, ma il mondo è piccolo. Ma andiamo per punti.

La crescita demografica sta già accelerando e i paesi che cresceranno di più, dove ci sarà un vero e proprio boom, sono anche quegli stati dove vivrà la più alta percentuale di poveri al mondo, circa il 40%. Si tratta della Nigeria dove la popolazione nel 2050 è stimata in 429 milioni di persone, di cui 152 sotto la soglia di povertà, e la Repubblica democratica del Congo, il cui territorio ospiterà circa 171 milioni di persone con i poveri stimati in 70 milioni.

Solo per fare un confronto: la popolazione europea sembra, invece, destinata ad attestarsi intorno ai 500 milioni di abitanti. Nel 2017 i giovani del continente africano tra gli zero e i 24 anni erano circa 628 milioni, entro il 2050 saranno 945 milioni. Giovani senza alcuna prospettiva di futuro, stante ciò che il mondo sviluppato sta facendo per loro.

Se prendiamo per buoni tutti questi numeri, e non c’è ragione per non farlo, tra 10 o 20 anni la pressione sull’Europa diventerà una vera e propria emergenza – niente a che vedere con la paura e l’insicurezza percepita oggi – con flussi migratori imponenti. L’Africa, secondo le stime delle Nazioni Unite, nel 2050 raddoppierà i suoi abitanti arrivando alla cifra di 2,5 miliardi. Ciò significa che un abitante su quattro del pianeta sarà africano.

Questo cambiamento demografico può essere la più grande minaccia o la più grande opportunità per l’Africa e per il mondo, in base a chiare azioni dei leaders, o alla mancanza di esse.

Secondo un recente rapporto del think tank Institute for economics and peace (Iep), intitolato Ecological threat report (Etr), le proiezioni al 2050 mostrano che gran parte dell’Africa subsahariana dovrà fare i conti con una forte insostenibilità a causa di alti livelli di inquinamento atmosferico, scarse condizioni igienico-sanitarie, alti tassi di omicidi e sostanziali minacce ecologiche combinate con l‘elevata crescita demografica, come abbiamo visto.

Il rapporto di 77 pagine evidenzia 27 paesi “hotspot” che affrontano le peggiori minacce ecologiche e che hanno la più bassa resilienza sociale. Ventitré di questi si trovano nell’Africa subsahariana e nell’area Mena (Medio Oriente e Nord Africa). Nello specifico, 41 paesi stanno attualmente affrontando una grave insicurezza alimentare, che ha un impatto sullo sviluppo economico, sulla salute pubblica e sull’armonia sociale.

Si tratta di 830 milioni di persone che vivono in questi paesi a rischio, di cui l’89% risiede nell’Africa subsahariana. Inoltre, oltre 1,4 miliardi di persone in 83 paesi si trovano ad affrontare uno stress idrico estremo, e più della metà di questi paesi si trova nel continente africano. L’Africa subsahariana è anche la seconda regione più colpita dai disastri naturali, con la conseguenza di un aumento delle migrazioni forzate di massa. Nel 2021 i paesi che hanno registrato il maggior numero di spostamenti interni dovuti a conflitti e disastri naturali sono stati Siria, Etiopia, Repubblica democratica del Congo, Afghanistan e Sud Sudan.

Bancarelle affollate, che vendono principalmente giocattoli per bambini e articoli per feste, in Dosumu Street nel mercato dell’isola di Lagos. /Foto: LUZ

Un altro fattore di rischio è la difficoltà di gestione delle megalopoli. Esistono 33 megalopoli nel mondo, di cui due situate in Africa: Lagos (Nigeria) e Kinshasa (Congo). La previsione è che entro il 2050 altre 14 si uniranno al gruppo, 4 delle quali africane: Dar es Salaam (Tanzania), Nairobi (Kenya), Khartoum (Sudan) e Luanda (Angola).

Nel continente africano, Kinshasa, Nairobi e Lagos sono le città che probabilmente dovranno affrontare le sfide più difficili. Sempre secondo il rapporto, si prevede che Dar es Salaam (4,3 milioni di abitanti attuali) e Nairobi (più di 5 milioni), aumenteranno la loro popolazione di oltre il 100% nei prossimi 30 anni, mentre Kinshasa (17milioni), Lagos (oltre 20 milioni) e Khartoum (non c’è un dato recente) potrebbero aumentare la loro popolazione di oltre l’80%. Con la loro elevata crescita demografica, unita all’assenza di un quadro adeguato ad affrontare le sfide esistenti, faranno fatica a gestire le minacce ecologiche, sociali e umane.

Sono numeri da capogiro che interrogano certamente l’Africa, ma anche e soprattutto l’Europa e il mondo ricco. Se non ci sarà uno sviluppo consistente che affronti le sfide che i numeri impongono, attraverso politiche lungimiranti di medio e lungo periodo, e non legate alla contingenza, l’emergenza, per l’occidente, arriverà per davvero e sarà travolgente.

È urgente, dunque, un cambio di paradigma con un piano di sviluppo globale per l’Africa. Il presidente dell’Unione Africana, Macky Sall, intervenendo al G20 di Bali come ospite, ha spiegato che le economie africane sono più vulnerabili perché dipendono dall’esterno e non hanno abbastanza spazio fiscale per attutire questi shock.

Secondo Sall il paradosso è quello “di un’Africa con un immenso potenziale agricolo, forestale e idrico, spesso alle prese con scarsità di cibo”, paradosso che “deve essere risolto”. Per questo è necessario “dare priorità al ripristino delle filiere alimentari globali al fine di renderle più sostenibili, giuste, inclusive e resilienti”.

Le potenze occidentali, tuttavia, sembrano ancora oggi più interessate allo sfruttamento “predatorio” delle risorse africane, piuttosto che a una collaborazione tra pari, dunque equa. Lo è stato con il colonialismo che ha finanziato le varie rivoluzioni industriali, lo è altrettanto oggi mentre l’Africa sta finanziando la rivoluzione verde dell’occidente. Il continente, dunque, deve diventare un mercato, non continuare a essere una riserva strategica alla quale attingere per finanziere altre aeree del pianeta. 

Angelo Ferrari – Agi

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