Cresce la tensione tra Somalia e Kenya e non è solo una guerra a colpi di diplomazia. Mogadiscio, infatti, ha deciso di schierare le sue truppe a Mandera lungo il suo confine con il Kenya, mentre continuano ad aumentare le schermaglie tra Nairobi e Mogadiscio.
Secondo testimonianze sul posto, nei giorni scorso l’esercito somalo ha occupato delle posizioni strategiche lungo il confine tra Mandera e Bula-Hawo, una cittadina situata sul lato somalo del confine, e sono stati riportati movimenti simili a El-Wak e altre aree lungo la frontiera permeabile tra i due Paesi.
La Somalia, inoltre, ha annunciato la sospensione delle relazioni diplomatiche con il Kenya, con cui confina a sud-ovest, accusandola di aver violato la propria sovranità e integrità territoriale, accusa prontamente respinta da Nairobi. Ciò avviene dopo che l’ambasciatore keniano a Mogadiscio è stato espulso.
Il Kenya è accusato di aver interferito con il processo elettorale nell’Oltregiuba, una delle cinque regioni semi-autonome del Paese. In una nota pubblicata su Facebook, Il ministero degli Esteri Mohamed Abdirizak ha dichiarato che “come conseguenza delle ingerenze politiche negli affari interni della Somalia, il presidente regionale dell’Oltregiuba è venuto meno agli impegni elettorali presi il 17 settembre 2020 a Mogadiscio”, senza specificare di quali accordi si trattasse o quali fossero le ingerenze. Si tratta solo dell’ultima di una lunga serie di dispute tra Mogadiscio e Nairobi. La Somalia ha anche richiamato il suo ambasciatore a Nairobi e ha sospeso le operazioni della sua ambasciata e ordinato ai sui diplomatici e funzionari di tornare a Mogadiscio entro cinque giorni.
Una tensione che non si è mai risolta da quando i due Paesi sono entrati in rotta di collisione per le acque territoriali ricche di petrolio. La vera partita, dunque, è il petrolio. In gioco ci sono i diritti di sfruttamento delle risorse che si trovano nell’Oceano Indiano, in un triangolo di mare che ha un vertice a Lamu, località al confine con i due paesi e i lati che seguono linee di confine rivendicati dai due paesi. Il Kenya si appella a pratiche dell’era coloniale e del processo di decolonizzazione, e afferma che il suo confine da oltre un secolo segue il parallelo che passa da Lamu e si estende nell’Oceano Indiano in linea retta. La Somalia, invece, si appella ad altre convenzioni e rivendica un confine che segue la direzione di quello terrestre, estendendosi in linea obliqua. Insomma, un gran pasticcio. La partita è tutt’altro che risolta. La Somalia è fortemente intenzionata a sfruttare queste risorse e lo ha messo nero su bianco in un documento, Offshore Somalia 2019, che doveva rimanere segreto ma che è stato fatto trapelare, forse ad arte. Nel documento si legge che, dopo le fasi preliminari, le compagnie vincitrici delle gare per l’assegnazione dei diritti di sfruttamento dei giacimenti, potranno cominciare a mobilizzare le risorse tecniche e finanziarie necessarie per estrarre greggio e gas al largo delle coste somale – doveva avvenire entro quest’anno – e inondare di miliardi di dollari le casse di Mogadiscio. Kenya permettendo.
La questione è tutt’altro che risolta, anzi è ancora in alto mare. La massima corte dell’Onu, davanti alla quale si svolge l’arbitrato, ha rinviato al 2021 le udienze sulla disputa del confine marittimo tra i due paesi. La Corte internazionale di giustizia ha spiegato di aver “raggiunto la sua decisione dopo aver debitamente considerato le opinioni e le argomentazioni delle parti, in seguito alla richiesta del Kenya di un rinvio a causa della pandemia” di coronavirus. La regione contesa copre più di 100mila chilometri quadrati dove il Kenya ha già concesso permessi di esplorazione per tre blocchi, una mossa contestata dalla Somalia.
Tutto ciò accade in un momento nevralgico per la Somalia. Prima le elezioni parlamentari prorogate al 2021, con non poche contestazioni, e dopo l’annuncio dato dal governo degli Stati Uniti dell’imminente ritiro delle truppe del Comando Usa per l’Africa (Africom). In quest’ultimo caso la Somalia dovrà, necessariamente, riorganizzare la risposta militare ad al Shabaab che, senza l’aiuto delle forze internazionali, è estremamente debole. A ciò si aggiunge il fatto che l’addestramento delle unità speciali passerà interamente sotto la responsabilità dell’esercito nazionale somalo dopo il ritiro delle truppe statunitensi. I dubbi crescono, dunque, anche sulla sicurezza delle elezioni che si dovrebbero tenere nel febbraio del 2021. Non a caso l’opposizione somala ha chiesto alla Turchia di non inviare una spedizione di armi, già pianificata – si tratta di un migliaio di fucili d’assalto G3 – destinata ad Harma’ad, un’unità speciale della polizia somala, perché temono possa essere usata dal presidente Mohamed Abdullahi Mohamed per “condizionare” le prossime elezioni.
Dopo la guerra dell’Etiopia in Tigray, il Corno d’Africa torna ad essere motivo di inquietudine con conseguenze non prevedibili.
(Angelo Ravasi)