di Anna Ferro, ricercatrice CeSPI
La pesca è un settore chiave in Senegal, rappresentando il 3,2% del PIL del Paese contribuisce infatti alla sicurezza alimentare e al sostentamento di ampi segmenti della popolazione costiera. A causa del cambiamento climatico però gli ecosistemi marini subiscono delle ripercussioni che si riflettono anche nelle comunità di pescatori, la cui attività è già fortemente compromessa da accordi internazionali e pesca illegale.
Mousatpha Diop è un signore senegalese di mezza età, ex pescatore ed ex migrante che nel 2006 ha tentato la via del mare fino alle Canarie. Oggi è presidente dell’associazione AJRAP (Association des Jeunes Rapatriés de Thiaroye sur Mer) che, nella costa vicino a Dakar, si adopera per contrastare la migrazione irregolare e sostenere la causa di chi vive di pesca. Moustapha è un arrabbiato testimone delle conseguenze di povertà e mancanza di opportunità economica, pressione migratoria, cambiamento climatico, iniqui accordi internazionali e aggressivi pescherecci stranieri. Una storia che dal 2006 si ripete ancora oggi.
La pesca è un settore chiave in Senegal, contribuendo alla sicurezza alimentare e al sostentamento (diretto e indiretto) di ampi segmenti della popolazione costiera. Rappresentando il 3,2% del PIL (Prodotto Interno Lordo) e il 10,2% delle esportazioni senegalesi, il settore ha generato un giro d’affari di 400 milioni di dollari nel 2021. La pesca artigianale, attraverso colorate piroghe a motore, è predominante ed alimenta sottosettori di trasformazione tradizionale del pescato. Tra il 15-17% della forza lavoro senegalese è coinvolta nelle attività legate alla pesca.
Il cambiamento climatico interessa in modo diverso terre, acque e comunità in Africa. L’innalzamento dei livelli del mare ha conseguenze nell’erosione delle aree costiere, l’aumento delle temperature delle acque comporta mutamenti nelle migrazioni e abitudini di molte specie ittiche. Non ultimo, l’inquinamento marino dovuto a comportamenti anti-ecologici della popolazione, delle industrie e delle imbarcazioni. Tutto ciò ha ripercussioni per gli ecosistemi marini, per le aree di attracco (sbarco e imbarco) e per le comunità di pescatori. Moustapha richiama la memoria storica di chi prima di lui viveva di pesca sulle coste di Thiaroye sur Mer, quando una maggiore varietà di pesci e una più chiara stagionalità garantivano a molte famiglie sufficienti redditi per escludere la via della migrazione. Dice anche “le regioni costiere sono cambiate molto in questi anni, le nostre coste non sono più pescose come prima e c’è anche chi ha perso la propria casa per l’avanzata del mare”.
Tuttavia, più che dagli impatti del cambiamento climatico sull’ambiente marino, Moustapha spiega che l’attività della pesca tradizionale in Senegal è fortemente compromessa dall’esito di licenze concesse e accordi bilaterali siglati negli anni con Turchia, Corea del Nord, Russia, Cina e con l’Unione Europea. La frequenza e impunità di pratiche di pesca illegali, eccessive e non razionalizzate (overfishing) caratterizzano molte imbarcazioni (negli ultimi anni, soprattutto cinesi) che non rispettano accordi e regolamenti in essere. Molti grandi pescherecci stranieri si camuffano tramite joint venture con partner locali, per battere bandiera senegalese ed evitare restrizioni. Spesso il limite delle acque territoriali in mare aperto e le indicazioni sulle specie da pescare non sono rispettati. La società civile da tempo si mobilita con preoccupazione per l’assenza di trasparenza e di controllo pubblico. Lo stesso accordo tra il Governo del Senegal e l’Unione Europea (2019-2024) riguarda la pesca di definite quantità di tonno e nasello da parte di pescherecci francesi e spagnoli, basandosi sulla premessa di un’eccedenza di risorse e dell’impiego di tecniche sostenibili. Molte voci – tra cui quella di Moustapha – sottolineano invece che diverse navi europee praticano la pesca a strascico (vietata in Europa) e utilizzano pesci giovani come esche, interrompendo così il ciclo di crescita.
Il risultato finale si traduce in una aumentata disoccupazione e assenza di prospettiva o alternativa per il futuro tra le comunità di pescatori, e in particolare tra i più giovani. Già nel 2006 quasi 32.000 persone sono partite dalle coste del Senegal per raggiungere la Spagna. Molti ex pescatori diventano oggi migranti oppure convertono la propria piroga a servizio della rotta migratoria atlantica. Spiega Mustapha: “la povertà e la fatica ci spingono a partire. Se hai una famiglia, dei figli, hai dei problemi a portare da mangiare ogni giorno e non sai come fare. Il carburante per le barche è troppo caro. E anche quando esci con la barca, manca il pesce. Qui la maggior parte delle persone vive di pesca, non ha un’istruzione e non ha i soldi per la formazione e imparare un altro mestiere. Lo stato qui non c’è. E le persone pensano all’Europa”.
Moustapha, con gli altri membri dell’associazione di migranti rimpatriati, si prodiga per evitare le partenze clandestine e le morti in mare. Tuttavia, le sue richieste alle istituzioni senegalesi, alle organizzazioni internazionali come anche alle ONG e associazioni della società civile risultano ancora inascoltate. Rimarca Moustapha “noi non facciamo la politica, noi vogliamo che i giovani conoscano tutti i pericoli e i rischi della migrazione irregolare, ma qui mancano i mezzi per restare. Le persone non sanno cosa fare qui per vivere”. Per fermare i flussi di migranti servono maggiore correttezza degli accordi sulla pesca, più efficienti controlli, misure compensative e di supporto per i pescatori locali e un rafforzamento delle loro competenze (nella pesca in mare aperto, ad esempio con delle scuole di formazione più strutturate) e una migliorata dotazione tecnica per le loro piroghe. Per non partire, serve costruire un’opportunità per stare.
Questo articolo nasce nel quadro del progetto “Raccontando il cambiamento climatico”, realizzato con l’associazione italo-senegalese Sunugal e Dare.org, sostenuto con i fondi dell’Otto per Mille della Chiesa Valdese. La missione il Senegal è stata organizzata dalla Friedrich Naumann Foundation for Freedom a Novembre 2022 coinvolgendo un gruppo di parlamentari europei, esperti e giornalisti di diversa provenienza per analizzare le sfide del cambiamento climatico e della migrazione nel paese.