Potrebbero ridurre di 16 miliardi di dollari il prodotto interno lordo (Pil) annuale dell’Africa le implicazioni della decisione dell’Unione europea (Ue) di procedere all’attuazione di un meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera (Cbam) come metodo per prevenire la cosiddetta “rilocalizzazione delle emissioni di carbonio” mediante l’imposizione di una tariffa sulle importazioni equivalenti ai prezzi del carbonio pagati dalle imprese europee.
Gli esperti avvertono quanto l’Africa sia particolarmente esposta alla misura, in quanto il 26% del commercio continentale avviene con il blocco europeo, mentre solo il 2,2% del commercio dell’Ue è con l’Africa. Inoltre la produzione in Africa tende ad essere a maggiore intensità di carbonio; per questo motivo subirà uno shock di competitività maggiore, rispetto ad altri Paesi o regioni, come India o Cina.
Secondo una ricerca non ancora pubblicata e commissionata dall’Africa Climate Foundation, con gli attuali prezzi del carbonio, il Cbam potrebbe avere l’effetto di ridurre le esportazioni dell’Africa verso l’Ue fino al 5,7%, il che farebbe perdere lo 0,91% – l’equivalente di circa 16 miliardi di dollari – al Pil del continente, considerando i livelli commerciali del 2021.
In base a un accordo raggiunto a dicembre, il Cbam sarà attuato entro la fine del 2023 e riguarderà inizialmente i settori ad alta intensità di carbonio di ferro e acciaio, cemento, fertilizzanti, alluminio, elettricità e idrogeno, nonché alcuni precursori e un numero limitato dei prodotti a valle. Uno strumento simile è attualmente preso in considerazione anche da altri Paesi, tra cui Stati Uniti, Giappone e Canada.
Nello specifico, secondo un nuovo documento di lavoro prodotto per la Presidential Climate Commission (Pcc) del Sudafrica, l’imposizione di un Cbam avrebbe implicazioni significative per l’economia sudafricana. In effetti, il documento mostra che l’Ue ha importato, in media, 1,4 miliardi di dollari all’anno di prodotti dai settori del Sudafrica coperti dal Cbam, compreso il settore siderurgico che attualmente impiega circa 28.000 persone, nonché quello dei prodotti chimici e dell’alluminio.