Ogni anno, a ridosso del 1° dicembre si moltiplicano gli articoli in memoria di Rosa Parks che quel giorno, nel 1955, scelse di non cedere a un bianco il suo posto sull’autobus, dando avvio così a quello che sarebbe passato alla storia come il Montgomery Bus Boycott. Ciò che molti ignorano è che il 2 marzo dello stesso anno, ossia nove mesi prima di Rosa, una studentessa di 15 anni aveva già fatto a Montgomery la stessa identica cosa, venendo arrestata e andando incontro a un processo pieno di colpi di scena e quindi all’oblio. La vita dimenticata di quella giovane donna, che ispirò il gesto di Rosa ma che nessuno ha mai ringraziato pubblicamente per questo, è taccontata da Émilie Plateau in una graphic novel che Einaudi Ragazzi ha recentemente portato in libreria con il titolo di Nera. La vita dimenticata di Claudette Colvin.
Claudette nasce nel 1939. Ad attenderla, una vita tutta in salita, e non solo per il fatto di essere nera in un Paese in cui vige la segregazione. Porta in origine il cognome Austin. Ma il padre sparisce prima ancora della nascita della seconda figlia Delphine e la madre affida le due bambine a dei prozii che le adotteranno dando loro il cognome Colvin. Delphine morirà di poliomielite qualche anno dopo.
Claudette frequentava la scuola segregata intitolata a Booker T. Washington, era una giovane attivista e sognava di diventare avvocato. Prendeva l’autobus ogni giorno per andare a scuola e, come volevano le “norme Jim Crow”, cedeva il suo posto ai bianchi quando questi erano in piedi. Ma quel meccanismo contorto non smetteva di indignarla. Il 2 marzo del 1955 Claudette era sull’autobus e stava rimuginando sull’assurdità della norma che impediva ai neri di usare gli spogliatoi e di provare i vestiti nei grandi magazzini. Salì una donna bianca. I sedili “bianchi” erano tutti occupati. L’autista le ordinò di alzarsi e lei non obbedì. Fu portata in prigione, nella prigione degli adulti.
Una volta fuori dal carcere, Claudette fu contattata da Jo Ann Gibson Robinson del Women’s Political Council, che le presentò Rosa Parks della National Association for the Advancement of Coloured People. La Naacp, le fu detto, voleva organizzare un boicottaggio dei bus, e l’avvocato Fred Gray, che era già molto conosciuto per il suo impegno contro la segregazione, avrebbe assunto la sua difesa e poi a partire da questo caso sarebbe iniziata la battaglia per dichiarare l’incostituzionalità delle norme che vigevano a Montgomery. Era pronta lei a fare la sua parte? Claudette si mise a disposizione. Pensava di essere assolta. Fu condannata in primo e secondo grado. Nel frattempo, però, i leader neri di Montgomery incominciavano a nutrire dei dubbi sull’opportunità di puntare su quella quindicenne come testimonial per la loro battaglia: era troppo giovane e, a quanto pare, anche troppo incinta. Probabilmente di un uomo sposato.
Per una battaglia così delicata ci voleva una personalità inattaccabile. Una figura che potesse piacere a bianchi e neri, che non entrasse troppo in conflitto con i costumi dell’epoca. Come si direbbe oggi: non divisiva. La scelta cadde su Rosa Parks, seria, studiosa e moralmente ineccepibile. E Rosa il primo dicembre di quell’anno, come è noto, non si alzò. Cominciò il boicottaggio, che sarebbe durato 381 giorni. Fred Gray presentò la sua denuncia e arrivò il risultato atteso: la dichiarazione di incostituzionalità per la segregazione sugli autobus a Montgomery. Il nome di Claudette era scomparso dai volantini e non avrebbe trovato spazio sui giornali e nella memoria collettiva.
Oggi, come ci racconta Émilie Plateau per mezzo della sua graphic novel, l’ottantenne Claudette vive a New York. Ha avuto un figlio dalla pelle molto chiara (e questo ha alimentato ulteriori dicerie sul suo conto). Poi ne ha avuto un altro, del cui colore nessuno si è occupato. Fu costretta a interrompere gli studi e non ha fatto l’avvocato. Si è guadagnata la vita lavorando come infermiera. Non ha mai avuto parole dure per quelli che decisero per realismo strategico di metterla da parte. Ma a un giornalista ebbe a dire: «I giovani pensano che Rosa Parks si sia seduta su un autobus e abbia posto fine alla segregazione, ma le cose non sono andate esattamente così».
A Montgomery, però, le è stata finalmente dedicata una strada.
(Stefania Ragusa)