Le immagini delle migliaia di persone che venerdì hanno marciato per le strade di Harare e di altre città zimbabwane per protestare contro le sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea nei confronti dello Paese e che continuano ormai dal 2002.
La giornata di mobilitazione è stata organizzata dal governo per denunciare le sanzioni occidentali, che secondo il presidente Emmerson Mnangagwa stanno «paralizzando» lo sviluppo dello Zimbabwe. La giornata di ieri, come riporta Al Jazeera, è stata dichiarata giorno festivo dalle autorità e i sostenitori del governo di tutto il Paese sono stati accompagnati nella capitale e nei principali centri urbani a partire dalla mattina presto per partecipare a una serie di iniziative tra cui una marcia, una partita di calcio tra i club più famosi dello Zimbabwe e un concerto.
Un manifestante ha affermato all’agenzia Ruptly: “siamo stufi di queste sanzioni”, aggiungendo che “le sanzioni dovrebbero essere rimosse in modo che le persone possano vivere bene in Zimbabwe”. Un altro manifestante ha definito le sanzioni “illegali”, perché, ha continuato, “stanno influenzando la nostra economia” e “stanno colpendo gli Zimbabwe invece di proteggerlo “.
I membri dell’opposizione hanno criticato le proteste definendole un esercizio di propaganda progettato per distrarre dalla malagestione, da parte del governo, della grave crisi economica che colpisce da anni il Paese e che ha generato carenza di forniture di base come carburante, energia e acqua.
Le sanzioni internazionali allo Zimbabwe sono state imposte nel 2002 per violazioni dei diritti umani e i sequestri di fattorie di proprietà di cittadini bianchi da parte dell’amministrazione dell’ex presidente Robert Mugabe, rovesciato dall’esercito nel novembre 2017 e morto lo scorso 6 settembre all’età di 95 anni. Le restrizioni attualmente in vigore non coinvolgono l’intero Paese, ma colpiscono 85 persone fisiche (tra cui Mnangagwa) e 56 aziende. Diversi Paesi africani si sono uniti all’appello di Harare per la revoca delle sanzioni.
Venerdì l’Ambasciata statunitense ad Harare ha respinto le accuse, affermando che la crisi è causata da un contesto economico e sociale sul quale pesa gravemente la corruzione, come riportato dalla BBC.
Inoltre, secondo quanto riportato ieri sempre dalla BBC, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni al ministro di Stato per la Sicurezza nazionale zimbabwani, Owen Ncube. Lo ha annunciato il segretario di Stato, Mike Pompeo, sottolineando in una nota che “il Dipartimento ha informazioni credibili secondo le quali Ncube è stato coinvolto in gravi violazioni dei diritti umani”.
“Siamo profondamente turbati dalle violenze da parte del governo dello Zimbabwe nei confronti dei manifestanti pacifici e della società civile, nonché dei leader dell’opposizione”, si legge nella nota.
Pompeo ha anche chiesto al governo di Harare di “fermare la violenza, indagare e consegnare alla giustizia i responsabili delle violazioni dei diritti umani e degli abusi nello Zimbabwe”. In base alle sanzioni adottate Ncube non potrà entrare negli Stati Uniti.