di Claudia Volonterio
Quasi una donna africana su due è stata vittima di violenza nel corso della sua vita, ovvero il 44 per cento delle africane su una media globale del 30%, secondo i dati delle Nazioni Unite. Il tasso di femminicidi in Sudafrica è cinque volte superiore alla media globale. L’uomo che commette la violenza è spesso conosciuto dalla donna, come partner o familiare. I numeri allarmanti che riguardano il fenomeno in Africa sono solo la punta dell’iceberg dei dati reali, poiché la maggioranza degli abusi non viene denunciato: la violenza di genere avviene in segreto, spesso nelle case stesse delle donne. Le vittime sentono di non poterne parlare, alla base c’è la piaga della cosiddetta “vittimizzazione secondaria”.
Violenza fisica, sessuale, psicologica, mutilazione genitale femminile, tratta, violenza economica: l’abuso da parte di uomini sulle donne si verifica in modi diversi, ovunque nel mondo. L’Africa, secondo UNODC, è la regione con il più alto livello di violenza rispetto alla dimensione della popolazione femminile. Nel continente africano l’alto tasso di violenza di genere è mantenuto dalla persistere di norme di genere nocive, con fattori di rischio come l’aumento della povertà e della violenza nelle baraccopoli e nelle aree di conflitto, ricorda il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione.
Per l’Africa subsahariana i numeri più sconcertanti provengono dal Sudafrica. Qui, secondo secondo l’organizzazione per i diritti umani Center for Constitutional Rights, ogni quattro ore viene uccisa una donna, con un tasso di femminicidi cinque volte superiore alla media globale. La polizia riceve 110 accuse di stupro al giorno, ma il fenomeno ha proporzioni ben più allarmanti, considerato che i casi denunciati sono meno della metà. Malgrado gli sforzi delle autorità, i numeri di omicidi (22.325 registrati nel 2021) e di aggressioni alle donne (53.293 quelle certificate) sono in costante aumento.
In tutto il continente il problema non viene estirpato alla radice per diversi fattori culturali e sociali. A giudicare dai dati in crescita, non basta infatti una legislazione più attenta. Secondo l’Onu, nell’Africa sub-sahariana, circa il 65% dei paesi dispone di leggi che criminalizzano specificamente la violenza domestica.
A rendere la violenza sulle donne difficile da eliminare è il suo essere radicata per lo più nel silenzio delle mura domestiche. Più di due terzi di tutte le donne uccise intenzionalmente in Africa nel 2017 sono state uccise da partner intimi o altri membri della famiglia, riporta UNODC. Le violenze sono seguite spesso da un silenzio e di conseguenza una sottostima dei numeri. Le donne hanno paura di parlare perché rischiano concretamente di essere ritenute responsabili loro stesse delle violenza subita.
Un fenomeno diffuso non solo in Africa, che prende il nome di “vittimizzazione secondaria“. In molte società del continente le donne, fin da piccole, sono educate a considerare le relazioni come qualcosa di cui è meglio non parlare e non cambia se emerge un fenomeno abusante. “Le donne che osano parlare delle violenze vengono punite per aver incolpato il marito, la famiglia o l’aggressore. Viene chiesto loro: cosa hai fatto per indurli ad abusare di te?” ha spiegato all’emittente DW Judicaelle Irakoze dell’organizzazione per i diritti delle donne, Choose Yourself. La vergogna, lo stigma sociale pesano alquanto e le donne sono educate fin da piccole a credere di essere in qualche modo responsabili della violenza contro di loro, per il tipo di atteggiamento che assumono, per come si vestono, ricorda Irakoze.
Un peso che le donne portano nel silenzio della loro voce inascoltata e nel segreto del loro corpo o mente violata. Se necessarie e fondamentali sono le leggi antiviolenza o una maggiore presenza delle donne nelle istituzioni, il cambiamento da mettere in atto è sociale. Una responsabilità che, ricorda il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, dovrebbe passare anche nelle mani dell’uomo: “Gli uomini hanno creato questo flagello”, ha detto Guterres.
Per contrastare la paura e la cultura del silenzio, l’unico passo da fare, secondo l’attivista ugandese Safina Virani, è romperlo. In prima linea a dare l’esempio ci sono le attiviste del continente, che sperano che sempre più donne abbiano il coraggio di denunciare chi abusa di loro.
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