Fabrizio Caròla, architetto napoletano scomparso due anni fa, ha dedicato la sua vita alla valorizzazione di un antica tecnica costruttiva nel Sahel, la cupola nubiana, che si contraddistingue per la massima attenzione alla sostenibilità ambientale. Le sue opere in Mali, Ghana e Mauritania sono uno straordinario concentrato di sapienza, eleganza e praticità
Strane cupole in terra rossa punteggiano il Sahel, dalla Mauritania a Bamako passando per la falesia di Bandiagara fino a raggiungere il nord del Ghana.
Edifici straordinari, realizzati con tecnologie antichissime ed elementari ma con un linguaggio estremamente contemporaneo e innovativo, in grado di integrarsi perfettamente nel paesaggio locale, tanto nelle zone rurali quanto nelle aree urbane.
Sono le opere di Fabrizio Caròla, architetto napoletano scomparso esattamente due anni fa, i primi giorni del gennaio 2019.
Nell’epoca immediatamente successiva alle indipendenze, mentre schiere di tecnici e intellettuali pensavano di dover portare i lumi della tecnologia occidentale ai paesi “sottosviluppati”, Fabrizio Caròla intraprese un percorso diametralmente opposto.
Iniziò infatti a studiare l’architettura vernacolare e popolare delle zone aride e semi-aride della fascia saheliana, ispirandosi soprattutto alle ricerche dell’architetto egiziano Hassan Fathy.
E fu proprio su uno degli schemi di Fathy che Caròla scoprì l’intuizione che elaborò per tutta la sua carriera: la cupola nubiana realizzata “a compasso”, un sistema costruttivo che non richiede né cemento né grandi quantità di legno.
“Trovo che le superfici curve e raccordate siano più vicine alla forma della natura e perciò più adatte a racchiudere o accompagnare la vita dell’Uomo” e fu così che Fabrizio Caròla dedicò la vita allo studio di questo metodo tradizionale portandolo all’estremo delle sue potenzialità e arrivando a produrre sistemi complessi di cupole intersecate, collegate con tunnel a volta o a spirale.
Le sue opere più note e interessanti sono l’ospedale di Kaedì, in Mauritania, il mercato di Mopti, il mercato delle erbe di Bamako e il centro di Medicina di Bandiagara in Mali oltre al palazzo del Re di Dahomey del delirante film “Cobra Verde” di Werner Herzog, girato in Ghana e tratto dal libro “Il vicerè di Ouidah” di Bruce Chatwin.
Ma l’architettura non è semplice forma e le opere di Caròla, con una sensibilità che ha anticipato di decenni il sentire comune, si contraddistinguono per la massima attenzione alla sostenibilità ambientale.
Evitando l’utilizzo di materiali e tecnologie importate ad esempio, o limitando al massimo lo spreco delle risorse più preziose, nel caso del Sahel acqua e legno. Per cuocere i mattoni dei suoi ospedali arrivò ad ideare forni alimentati con la pula di miglio, un materiale di scarto altrimenti inutilizzato.
Negli ultimi anni di vita Fabrizio Caròla ha trasmesso le tecniche costruttive di cupole e volte a decine di studenti in Africa come in Europa. Oggi la sua eredità è stata raccolta dallo studio di architettura 2111 che ne prosegue le ricerche oltre che da centinaia di ex operai, studenti o architetti che ne riproducono e rielaborano le geniali intuizioni.
(Federico Monica, autore dell’articolo, sarà relatore del seminario, organizzato dalla rivista Africa, “L’Africa delle città”, in programma a Milano e in streaming il 27 e 28 marzo 2021. Per info e prenotazioni, clicca qui)