Repubbliche, ma anche un po’ monarchie. In Africa, da anni ormai, sta prendendo piede l’uso dei figli che subentrano ai padri presidenti. Un’alternanza che non sempre rispetta i dettami delle Costituzioni, ma risponde più al mantenimento di delicati equilibri politici e, a volte, etnici.
L’ultimo caso è quello di Mahamat Idriss Déby, figlio del defunto presidente del Ciad Idriss Deby. Già militare di carriera a capo della guardia presidenziale con esperienza di guerra in Mali, dove ha svolto l’incarico di secondo in comando delle forze speciali impegnate nel conflitto in Azawad, Mahamat è stato posto a capo del Consiglio militare di transizione «al fine di assicurare la difesa del Paese in situazione di guerra contro il terrorismo e le forze del male, e garantire la continuità dello Stato». Una formula che racchiude in sé una violazione della Carta fondamentale che prevede che sia il presidente del Parlamento a dover subentrare al capo dello Stato defunto e non il figlio. Solo nei prossimi mesi si capirà il perché di questa sostituzione.
In Africa, a inaugurare «la moda» dei figli dei presidenti al potere è stato però Jospeh Kabila nella Rd Congo. Quando Kabila divenne presidente, il 26 gennaio 2001, aveva solo 29 anni ed era considerato giovane ed inesperto. Nonostante la sua età si disse da più parti che fosse stato lui a guidare il golpe che aveva rovesciato (uccidendolo) il padre Laurent-Desirée (al potere dal 1997 quando rovesciò il regime di Mobutu Sese Seko). Rimasto al potere fino al 2019, mantiene una grande influenza sulla politica e sull’economia congolese. I Kabila controllerebbero direttamente o tramite persone di fiducia una settentina di imprese, e avrebbe almeno 120 permessi di estrazione sulle risorse chiave del Paese (cobalto, diamanti, oro, ecc.).
A seguire il suo esempio è stato Faure Gnassingbé in Togo. Nel 2005, alla morte inaspettata del padre Gnassingbé Eyadéma (al potere dal 1967), sarebbe dovuto diventare presidente ad interim il presidente del parlamento, carica allora ricoperta da Fambaré Ouattara Natchaba. Sfruttando il fatto che Natchaba in quel momento si trovava all’estero, Faure Gnassingbé, con l’appoggio dell’esercito, fu nominato presidente al posto di Natchaba. Inoltre, lo stesso parlamento ricevette istruzioni per destituire Natchaba dal suo incarico sostituendolo con il nuovo presidente, in modo da legalizzare la situazione creatasi. Un’ulteriore modifica della Costituzione eliminò il vincolo secondo cui la carica del sostituto, eletto ad interim in caso di decesso del presidente, doveva durare un massimo di 60 giorni. In questo modo, il termine del mandato di Faure Gnassingbé fu fissato al 2008 e poi rinnovato fino ad oggi.
Un’altra dinastia repubblicana è quella dei Bongo in Gabon. Nel 2009 alla morte del presidente Omar Bongo (al potere dal 1967), venne eletto presidente il figlio Ali dopo un breve periodo di transizione in cui la carica era stata temporaneamente ricoperta da Rose Francine Rogombé, in qualità di presidentessa del Senato. Da allora, sono passati 12 anni, Ali Bongo, nonostante una misteriosa malattia, è ancora al potere e guida ancora la Gran Loggia massonica regolare del Gabon come già, in precedenza, il padre.
Infine non si può dimenticare Teodorin Nguema Obiang Mangue, figlio di Teodoro, presidente della Guinea Equatoriale. Teodorin non è ancora presidente (in sella c’è ancora il padre che governa con pugno di ferro dal 1979), ma sono in molti a credere che succederà al genitore. Dal 2012 è stato nominato secondo vicepresidente del paese, nel 2016 è diventato vicepresidente unico della Repubblica ed è perciò favorito nella linea di successione, nonostante il lussuoso tenore di vita e la vita smodata lo abbiano più volte collocato sotto i riflettori della stampa internazionale.
(Tesfaie Gebremariam)