Un paio di scarpe in tre. Per due mesi. In una prigione a cielo aperto di Boko Haram. Un’«esperienza di spogliazione materiale totale». «Spogliazione» è in effetti la parola che più ritorna in questo toccante diario di suor Gilberte, canadese, rapita con i missionari della diocesi di Vicenza che con lei firmano il piccolo libro, il 4 aprile 2014, di notte, da una missione in Camerun non lontana dalla frontiera nigeriana. Tra le pochissime cose di cui i tre dispongono, un bloc-notes e la penna (e anche questa finirà…) con cui la religiosa settantacinquenne tiene quotidianamente un diario, che diventa così una sorta di appendice agli Atti degli Apostoli.
I fatti salienti della giornata, dove spiccano le quotidiane difficoltà vecchie e nuove – formiche nere e serpenti, la fatica di dormire sempre per terra, l’alimentazione poverissima, la poca acqua che sa di gasolio… –, si mescolano agli spunti di meditazione forniti non da un messale o da una bibbia, ma dalle pagine del Vangelo memorizzate dai sacerdoti. Una preghiera cui spesso si mescola sovrappongono quelle islamiche dei carcerieri. Coi quali è difficile anche comunicare a parole: la loro lingua è l’hausa, e solo uno di loro pratica uno stentatissimo inglese.
Il momento di maggior paura per i missionari è, paradossalmente, il trambusto della liberazione (grazie a uno scambio di ostaggi). Un evento che viene a interrompere la monotonia è quando per qualche giorno si ritrovano gomito a gomito con una decina di cinesi anch’essi sequestrati.
Una lettura da cui emergono una forza d’animo, una speranza e una fede non comuni (senz’altro corroborate anche dal dover vivere la Settimana santa e la Pasqua in quelle circostanze, e potendo celebrare la messa solo nei primi giorni).
La prefazione è del vescovo di Campobasso, GianCarlo Bregantini, anch’egli catturato da questa testimonianza: «Ho letto il racconto senza mai staccare gli occhi».
Emi, 2015, pp. 100, € 10,00