Sebbene non fosse vietato sperare che il 2020 annunciasse la fine dei ripetuti conflitti armati in Africa, il proseguimento dei combattimenti in diversi Paesi dilaniati dalla guerra ha infranto qualsiasi motivo di ottimismo. L’amara costatazione è quella di Amesty International nel suo ultimo rapporto 2020/2021 sulla situazione dei diritti umani nel mondo, pubblicato in questi giorni sul sito dell’organizzazione con sede a Londra.
“La promessa fatta nel 2013 dai leader africani, che si erano impegnati a mettere a tacere le armi entro il 2020, non si è concretizzata”, deplora Amnesty, secondo la quale al contrario, le armi si fanno sentire ancora più forte e hanno causato la morte di migliaia di persone. “Tutti i conflitti hanno continuato a essere caratterizzati da gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale dei diritti umani” denuncia. Dalla Nigeria nord-orientale, devastata dagli scontri per un decennio, al Tigray, in Etiopia, dove recentemente è scoppiato il conflitto, le forze di sicurezza, i gruppi armati e le milizie hanno commesso “atrocità nell’impunità”.
Agli effetti devastanti dei conflitti si sono aggiunti quelli della pandemia covid-19, delle invasioni di locuste e degli shock climatici. “Questi fattori convergenti hanno avuto gravi conseguenze per le popolazioni”, rivelando gli ostacoli profondamente radicati che hanno frenato il funzionamento dei sistemi di protezione dei diritti umani e le carenze strutturali di questi sistemi. La pandemia ha evidenziato in particolare lo “stato deplorevole dei servizi sanitari pubblici” e le “disuguaglianze nel godimento dei più elementari diritti socioeconomici”. Ad essere denunciata è infatti anche la diseguale distribuzione di vaccini anti-covid nel mondo che ha visto continenti come l’Africa essere lasciati ai margini. “La pandemia ha gettato luce sull’incapacità del mondo di cooperare efficacemente in tempi di gravi necessità globali”, ha detto il segretario generale di Amnesty, Agnes Callamard.
Il contenimento e il coprifuoco, secondo il rapporto, hanno solo aumentato il rischio per le donne e le ragazze di subire violenza di genere, compresa la violenza sessuale, e le vittime hanno avuto difficoltà ad accedere all’assistenza sanitaria, assistenza legale, giustizia e assistenza sanitaria. Un punto positivo, tuttavia, è che la protezione delle donne e delle ragazze contro la discriminazione ha visto alcuni progressi notevoli, dalla prima condanna per stupro coniugale in Eswatini (ex Swaziland) alla legge che criminalizza le mutilazioni genitali femminili come reato.
Secondo gli esperti dell’organizzazione, gli Stati hanno usato una forza eccessiva per far rispettare i regolamenti adottati per combattere la pandemia di covid-19 e per disperdere le proteste. La pandemia è anche servita da pretesto per alcuni governi per intensificare la repressione e soffocare il dissenso. Le elezioni hanno provocato diffuse violazioni dei diritti umani.
Tra le tante situazioni allarmanti colpisce in Africa quella della Somalia il cui quadro, dipinto da Amnesty, si tinge di tinte decisamente amare che parlano di attacchi indiscriminati contro la popolazione civile, soppressione della libertà dell’individuo, minacce ai giornalisti, uccisioni e arresti arbitrari, violenze, abusi sessuali. Ad aggravare la situazione i continui attacchi dei militanti di al-Shabaab, organizzazione terroristica legata ad Al Qaeda che – sottolinea Amnesty – “ha continuato a godere dell’impunità per i suoi frequenti e indiscriminati attacchi ai civili e alle infrastrutture civili, come ristoranti e alberghi”. L’organizzazione denuncia il fatto che il gruppo armato è stato autore anche di uccisioni mirate di persone sospettate di avere legami con le autorità ufficiali e con i giornalisti.
In termini di libertà d’espressione il rapporto di Amnesty denuncia in Somalia l’uccisione di due giornalisti nel 2020, sottolineando che molti altri sono stati minacciati, molestati, intimiditi, picchiati o arbitrariamente arrestati e consegnati alla giustizia da funzionari statali, tra cui la polizia e l’esercito, in tutta la Somalia centro-meridionale e nel Puntland. Secondo l’organizzazione di difesa dei diritti umani, inoltre, le autorità hanno limitato l’accesso alle informazioni, talvolta vietando ai giornalisti di entrare negli edifici ufficiali, partecipare alle manifestazioni o visitare la scena di atti violenti, come gli attacchi di al Shabaab. Ad alcuni giornalisti è stato anche rifiutato il permesso di intervistare alti funzionari del governo. Inoltre, le accuse di attacchi ai membri della professione non sarebbero state indagate seriamente.
A far da cornice ma anche ad alimentare questi drammatici avvenimenti è il conflitto in corso tra il governo somalo e gli Stati regionali, sottolinea Amnesty nel rapporto. Oltre a una serie di disastri naturali e alla crisi sanitaria, quindi economica, causata dalla pandemia da covid-19 che hanno esasperato l’insicurezza alimentare della popolazione. Amnesty precisa che le crescenti tensioni politiche tra il governo federale e quello regionale hanno impedito l’attuazione delle riforme giudiziarie e hanno ostacolato la difesa dei diritti umani.
Dal rapporto si apprende che crimini di diritto internazionale sono stati commessi in tutta impunità in Mali sia da gruppi armati che dalle forze di sicurezza nazionali. In una nazione dove il conflitto in corso e la pandemia di covid-19 hanno “gravemente colpito i diritti alla salute e all’istruzione”, sono responsabili di gravi violenze gruppi come il Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim), lo Stato islamico nel grande Sahara, ma anche cacciatori dozo, tutti autori di diversi attacchi alla popolazione. Amnesty accusa inoltre l’esercito maliano di crimini di guerra e altre violazioni dei diritti come arresti arbitrari e detenzioni illegali. La polizia viene accusata di uso eccessivo della forza, soprattutto contro il manifestanti. Per quanto riguarda il diritto alla salute, le organizzazioni umanitarie hanno stimato nei mesi scorsi che il 23% dei centri sanitari non sono stati operativi a causa di restrizioni di bilancio, ripercussioni della pandemia e conflitto. Amnesty accusa inoltre le autorità di non aver fatto abbastanza per proteggere le donne e le ragazze dalle mutilazioni genitali femminili.
In Algeria colpiscono gli arresti indiscriminati e ingiustificati: manifestanti pacifici, giornalisti, attivisti e cittadini che non avevano fatto altro che esercitare pacificamente i propri diritti di libertà di espressione e di riunione, sono stati arrestati in Algeria nel corso dell’ultimo anno. Amnesty segnala l’introduzione di pesanti sanzioni penali per la diffusione di notizie false e limitazioni a ricevere alcuni tipi di finanziamenti dall’estero. L’organizzazione con sede a Londra accusa anche le autorità algerine di aver ostacolato il funzionamento di Chiese cristiane e di aver molestato membri della comunità religiosa Ahmadi. “Hanno anche effettuato espulsioni massicce e arbitrarie di persone migranti”, sostiene inoltre il rapporto. Cartellino rosso anche sui diritti delle donne, “vittime di discriminazione in legislazione e in pratica, nonché obiettivo della violenza di genere e femminicidi”
Libertà d’espressione limitata, situazione securitaria precaria, matrimoni precoci e mutilazioni genitali femminili che continuano in violazione della legge, accesso al cibo e alle cure ostacolate dalle misure per arginare la pandemia di coronavirus: sono queste, invece, le noti dolenti in materia di diritti umani in Ciad, secondo Amnesty International, alla vigilia della chiamata alle urne per le elezioni presidenziali in programma domenica 11 aprile. Nel suo rapporto, per quanto riguarda il Ciad, Amnesty ricorda anche il contesto d’insicurezza che persiste nella regione del Lago Ciad dove Boko Haram e lo Stato islamico in Africa occidentale sono stati attivi nel corso dell’ultimo anno. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), si son registrati 298.803 sfollati nella regione in aprile e 363.807 in settembre; il 64% di loro era fuggito dal proprio villaggio a causa della violenza. Amnesty denuncia la pressione sui partiti politici d’opposizione, casi di arresti arbitrari di difensori dei diritti umani, come Baradine Berdei Targuio e Alain Kemba Didah. “Anche quest’anno il diritto alla libertà di espressione e il diritto di accesso alle informazioni sono stati derisi” aggiunge l’organizzazione con sede a Londra. A settembre l’Alta Autorità dei media (Hama) ha sospeso per tre mesi la pubblicazione di 12 giornali considerati sostenitori dell’opposizione.
(Céline Camoin – Valentina Giulia Milani)