Rd Congo – Ancora scontri in Kasai e Nord Kivu. Saccheggiati un seminario e una parrocchia

di Enrico Casale
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Non si placano le violenze e gli scontri nella Repubblica Democratica del Congo. Nel fine settimana, nella regione del Kasai centrale, miliziani hanno saccheggiato il seminario maggiore di Malole di Kananga, rubando e distruggendo; nella capitale Kinshasa è stata violata e rapinata la parrocchia di San Domenico; nel Nord Kivu sono stati massacrati 25 civili.
Non è una guerra formalmente dichiarata ma il paese africano certamente non vive in pace, come ha ricordato Papa Francesco all’Angelus di domenica, denunciando violenze e brutalità che colpiscono anche tanti bambini, strappati alle famiglie e alla scuola per farne soldati. Si vive nella paura e nel caos. E regna l’impunità. Impunità per le razzie perpetrate e per le connivenze che permettono il traffico illecito di armi e di preziose materie prime, di cui il paese è ricco. Impunità per lo stallo politico, con un presidente che ha concluso il suo ultimo possibile mandato senza che però si riescano a svolgere le elezioni. E impunità per una comunità internazionale che, da mesi, ripete che il martoriato paese africano è sull’orlo di un nuovo conflitto globale ma non fa niente.
Di sicuro c’è solo il fatto che nella Repubblica Democratica del Congo è in gioco l’instabilità di tutta la travagliata regione dei Grandi Laghi. E il rischio è che si ripeta quanto avvenuto tra il 1998 e il 2003, quando sei paesi africani hanno preso parte a quella che è stata definita la guerra mondiale africana. Cinque milioni e mezzo di morti.
Presidente e parlamento sono fuori tempo massimo dal 19 dicembre. Il voto previsto entro novembre è stato rimandato per questioni legate alle liste elettorali e alle consultazioni locali e provinciali. Di fatto, Joseph Kabila resta al comando. Divenuto presidente in seguito all’assassinio di suo padre Laurent-Désiré Kabila il 16 gennaio 2001, ha compiuto i due mandati consecutivi consentiti dalla Costituzione. La sua presidenza è la più lunga della Repubblica, nata dopo 32 anni di dittatura di Mobutu, arrivato al potere nel 1965 con un colpo di stato e deposto nel 1997.
Facendo un passo indietro, per oltre un secolo la storia di questo paese, vittima di un colonialismo crudele, è stata condizionata da guerre, carestie ed efferate razzie compiute per accaparrarsi le preziose materie prime di cui il territorio è ricco. La prima vera esplosione di sfruttamento e criminalità si è avuta per la raccolta del caucciù, di cui andavano ghiotte le fabbriche nel boom industriale. In seguito, è stata caccia ad avorio, oro, diamanti. Più di recente, si uccide per petrolio e coltan, così prezioso per i telefoni cellulari.
Oggi, Joseph Kabila resta, nonostante le ripetute manifestazioni per chiedere che lasci il potere, sfociate a settembre in scontri con la polizia e costati la vita ad almeno 44 persone. Non è il solo nell’area. In Rwanda, Paul Kagame, dopo un referendum che ha autorizzato la cancellazione del limite dei due mandati, si è ricandidato per la terza volta per il voto quest’anno. In Burundi, Pierre Nkurunziza ha forzato la stessa regola nel 2015. Tutte situazioni potenzialmente esplosive.
Intanto, proprio la provincia congolese che confina direttamente con questi paesi, il Kivu, ospita trafficanti di ogni etnia e vive periodici saccheggi e massacri. Si intrecciano i linguaggi, ma spesso la popolazione locale riferisce di aggressori che si esprimono in lingala, la lingua dei soldati. Le organizzazioni umanitarie denunciano che lo stupro, anche di bambine piccolissime, è l’arma più diffusa per spargere terrore e odio. Segno di una disumanità di fronte alla quale essere solo spettatori significa essere complici.
(22/02/2017 Fonte: News.va)

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