“All’inizio hanno chiesto i telefonini e i soldi e tutto quello che potevano rubare, e successivamente hanno obbligato tutti a scendere dai due veicoli e a seguirli verso l’interno. La camminata è durata una quindicina di minuti. Rocco Leone era più lento degli altri, aveva un passo zoppicante, ed è rimasto indietro rispetto al resto del gruppo. Così, a un certo punto, si è ritrovato isolato ed è potuto scappare. È tornato indietro, riuscendo a chiamare soccorsi”: così padre Sebastiano Amato, riferisce ad AfricaRivista/InfoAfrica i dettagli di quella tragica imboscata avvenuta lunedì 22 febbraio a una ventina di chilometri da Goma, verso nord, al punto noto come delle “tre antenne”, a Kibumba. Il missionario saveriano, da oltre 40 anni in Congo, racconta dettagli di cui è venuto a conoscenza parlando con Rocco Leone, il vice direttore del Pam, fortunosamente uscito indenne.
Padre Amato ha fatto parte di una delegazione di nove persone, sei preti e tre suore, partita martedì da Bukavu, capoluogo del Sud-Kivu, verso Goma, capoluogo del Nord-Kivu, dove hanno potuto rendere omaggio alle salme dell’ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci prima della partenza del volo dell’aeronautica militare verso Roma.
Il gruppo si è intrattenuto con il console Alfredo Russo e con il vice direttore del Pam, Rocco Leone, e dopo ha ripreso il battello per tornare a Bukavu.
Leone era “sotto shock” ma non è stato ferito, anzi, è riuscito a fuggire dai suoi assalitori e a tornare indietro per chiedere aiuto. L’autista del Pam, Mustapha Milambo, è stato invece ucciso sul luogo dell’agguato, perché si era rifiutato di seguire gli assalitori. “Dopo quella camminata di 15 minuti sono intervenute le guardie del parco (dei Virunga) e i militari sparando” prosegue Padre Amato. “Forse i rapitori sono stati presi dal panico e lì, dicono, hanno sparato all’ambasciatore e al carabiniere e hanno cercato di uccidere anche la guardia del corpo di Rocco. Lui (Mansour Rwagaza, Ndr) è stato solo ferito, ha fatto finta di essere morto”. Da quel momento i rapitori si sono messi in fuga mentre Attanasio è stato portato subito al primo ospedale gestito dai Pachistani. “Era ancora vivo, ferito allo stomaco, ma non era più cosciente, hanno subito visto che non c’era molto da fare, gli hanno messo l’ossigeno. Poi è stato caricato su un’autoambulanza verso l’ospedale della Monusco, dove quando è arrivato ormai era tardi”, riferisce padre Amato.
“Ancora non sono stati arrestati gli assalitori ed è ancora difficile dire come sono esattamente andate le cose” prosegue il missionario. “Bisogna aspettare l’esito dell’inchiesta. Forse lo scopo primario era il furto, trasformatosi in rapimento per guadagnare di più. Ma sono solo ipotesi. Bisogna fare poco affidamento alle versioni che circolano. Sono frequenti i fotomontaggi, girano molte voci non sempre vere”, sottolinea il missionario saveriano italiano.
Su quanto fosse pericolosa la strada, padre Amato riferisce la versione sentita: dal Pam e dalla Monusco sono stabiliti criteri, e su quel tratto pare ci fosse un criterio di ‘normalità’ che necessitata solo di andare almeno in due macchine. Ed è quello che stavano facendo. Non era una strada dove si richiedeva la scorta, in base ai criteri che loro avevano”.