di Roberto Morel
A una settimana dal ricorso alla Corte costituzionale presentato da Martin Fayulu, una forte presa di posizione arriva dalle istituzioni multilaterali africane. L’Unione africana, in un comunicato del 17 gennaio sottoscritto sia dalla Sadc (Southern Africa Development Community) che dalla Icgrl (International Conference on Great Lakes Region) – le due più importanti organizzazioni regionali di cui kinshasa è stato membro – ha espresso«dubbi consistenti sui risultati provvisori elettorali proclamati dalla Ceni» e chiede di conseguenza «una sospensione della proclamazione dei risultati elettorali finali prevista dalla Corte Costituzionale». Anche l’Unione europea, attraverso un comunicato, ha appoggiato la decisione dell’Unione africana invitando «tutti gli attori congolesi a collaborare attivamente con la missione dell’Unione Africana che si recherà prossimamente a Kinshasa».
La riunione straordinaria convocata ad Addis Abeba il 17 gennaio -che ha registrato la partecipazione di dieci capi di Stato africani confinanti con il gigante congolese- ha infatti deciso di l’invio di una delegazione di alto livello politico che si renderà lunedì 21 a Kinshasa per promuovere un dialogo con le parti politiche. Delegazione di cui farà sicuramente parte il presidente della Commissione Moussa Faki, il presidente zambiano Edgar Lungu, il presidente Denis Sassou Nguesso del vicino Congo Brazza e forse pure del presidente ruandese Paul Kagame, lo scomodo vicino di Kinshasa che, nonostante sia attualmente il presidente di turno dell’Unione Africana, verrebbe visto in modo ostile dalle forze politiche congolesi e dall’opinione pubblica a causa delle guerre all’Est del Congo che affliggono le regioni del Kivu e dell’Ituri da più di vent’anni.
La preoccupazione maggiore per i Paesi confinanti è chiaramente la questione di sicurezza. Se non ci fosse infatti un chiaro consenso sul risultato elettorale agli occhi della popolazione congolese, la tensione sociale potrebbe sfociare in nuovi disordini e in una nuova crisi interna che minerebbe la già precaria stabilità del Paese.
Non si sono fatte attendere le reazioni dalle parti politiche congolesi. Lambert Mende, portavoce del governo ancora in carica e membro del Fcc ha dichiarato che «non spetta all’Unione africana dire alla Corte Costituzionale quello che dovrà fare». Reazione di segno opposto per Martin Fayulu, leader della coalizione Lamuka che afferma «che i presidenti degli Stati africani hanno deciso di schierarsi al fianco del popolo congolese».
Dal fronte interno va registrata la posizione della Corte costituzionale che aveva già rinviato a lunedì il limite stabilito per esprimersi sul ricorso di Martin Fayulu. Tre sono le opzioni tra cui probabilmente dovrà far cadere la propria decisione. Avallare un riconteggio dei voti nel caso in cui dovesse validare le prove di frode elettorale portate da Fayulu; confermare il risultato provvisorio presentato dalla Ceni; annullare parzialmente o totalmente lo scrutinio del 30 dicembre, ipotesi che pare essere la meno probabile al momento. La Corte dovrà inoltre esprimersi sul ricorso presentato da Theodore Ngoy, altro candidato «minore» alle presidenziali, che ha contestato la validità dello scrutinio presidenziale in quando le tre circoscrizioni di Beni, Butembo e Yumbi non hanno potuto esercitare il diritto di voto.
Bisognerà adesso comprendere come la missione dell’Unione africana interferirà con l’attesa proclamazione della Corte costituzionale e aspettare che lunedì prossimo sia fatta chiarezza sul risultato post-elettorale.