Una violenza travolgente sta tormentando la popolazione del territorio di Djugu, nella provincia di Ituri, nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) dal 2017, poiché le tensioni comunitarie hanno scatenato la rinascita di un conflitto armato. Questo l’allarme lanciato da Medici senza frontiere (Msf) tramite un comunicato.
Msf ricorda che quattro attacchi consecutivi “di inaudita violenza” hanno colpito i siti di Tché, Drodro, Paroisse, Luko e Ivo, tra il 12 e il 28 novembre 2021. “Questa nuova escalation del conflitto ha peggiorato la situazione umanitaria e di sicurezza nei siti degli sfollati della zona, aumentando la vulnerabilità e l’isolamento delle persone”, si legge nella nota.
“Sono abbandonata al mio destino. Senza cibo, io e i miei figli siamo malati da quando siamo arrivati nel sito”, ha detto all’organizzazione medica una contadina di 52 anni di Dhedja che è fuggita a Ivo con i suoi tre figli. Come lei – precisa Msf – più di 40.000 persone sono state costrette a rifugiarsi nel campo di Rhoe, nella zona sanitaria di Blukwa State, una zona di difficile accesso e dove i gruppi umanitari hanno una presenza ridotta a causa dei ricorrenti problemi di sicurezza.
“La gente ha affrontato molte difficoltà: il freddo, la mancanza di rifugi e di latrine. Gli scontri tra gruppi armati hanno portato allo spostamento massiccio di persone, compresi gli operatori sanitari che non sono più al capezzale dei loro pazienti”, ha detto il dottor Benjamin Safari di Msf a Drodro. “I bisogni sanitari sono enormi. Abbiamo lanciato diverse attività per rafforzare la nostra risposta, soprattutto per i bambini sotto i 15 anni”, ha aggiunto.
“Coloro che rimangono a Rhoe non hanno un posto dove andare. Le comunità che combattono nella zona sono state trascurate per troppo tempo e non risolveremo i loro problemi con bende e medicine”, ha detto Davide Occhipinti, coordinatore del progetto di Msf a Drodro, aggiungendo che “anche se alcune persone stanno iniziando a tornare alle loro case, nella fragile calma relativa delle ultime settimane, i bisogni rimangono alti e il nostro accesso alle persone è limitato”.