Rd Congo:  Goma, tra strategie, alleanze e il gioco diplomatico

di claudia

di Valentina Giulia Milani

Nonostante la presenza di numerose forze armate, l’attacco dei ribelli M23 a Goma è stato inaspettato, evitando scontri diretti con la popolazione. Una testimonianza dalla Repubblica Democratica del Congo per far luce sugli ultimi fatti di cronaca che hanno visto un’escalation del conflitto nell’Est del Paese.

“Non credevo possibile un attacco di questa dimensione su Goma e la mia posizione era condivisa da altri esperti e analisti. La città era presidiata da forze armate di vario tipo: contingenti della Missione delle Nazioni Unite nella Rdc (Monusco), la missione della Comunità di Sviluppo dell’Africa Australe (Sadc) nel Paese (Samidrc), mercenari e l’esercito nazionale congolese. Era un concentrato di armi e uomini armati”, afferma una fonte ben informata da Goma che aggiunge: “nonostante questa massiccia presenza militare, la città è stata vulnerabile” riferendosi agli ultimi fatti di cronaca che hanno visto un’escalation del conflitto nell’Est del Paese, e la presa da parte dei ribelli M23 del capoluogo della provincia del Nord Kivu, Goma.

“Se nel 2012 l’attacco aveva una via di uscita perché tutte queste armi che erano a Goma sono passate per Minova e sono arrivate verso sud, oggi questa possibilita’ di fuga non c’era”, prosegue.

Secondo l’esperto questo attacco è quindi stato pianificato con l’intenzione di non condurre combattimenti pesanti. “La notte di domenica, l’M23 ha lanciato un ultimatum, dando tempo fino alle tre di notte per arrendersi. Probabilmente, il gruppo ribelle si aspettava di entrare in città senza combattere, evitando così spargimenti di sangue”. A loro avviso, nessuno avrebbe ammesso un combattimento in città.

Perché questa strategia? “L’M23 non può permettersi di imporsi con la forza in una città di due milioni di abitanti, molti dei quali sono fuggiti proprio per sfuggire alla sua avanzata. Entrare combattendo avrebbe significato alimentare l’ostilità della popolazione locale, rendendo ancora più difficile la sua legittimazione politica. Inoltre, anche al Ruanda – accusato di sostenere l’M23 – non sarebbe convenuto un’offensiva violenta, soprattutto alla luce dei processi di pace e delle trattative diplomatiche in corso”, spiega.

Anche la politica dell’M23 nei confronti degli sfollati è quella di evitare la presenza di persone nei campi profughi e di promuovere il “ritorno alla normalità. I messaggi che diffondono alla popolazione delle zone conquistate sono chiari: ‘Tornate alle vostre case. Non vogliamo campi profughi. La situazione è normale. Potete muovervi liberamente, la sicurezza è garantita. Anche per Goma presto arrivera’ lo stesso messaggio’”, spiega la fonte precisando che tuttavia, la reazione della popolazione rimane incerta. Al momento, la fiducia è ancora fragile e molti esitano ad abbandonare i campi.

A proposito delle trattative, mediate dall’Angola, la fonte da Goma dice che sembrano essere servite a suo avviso più per cercare di guadagnare credibilita’ sullo scenario internazionale, che per una reale volontà di accordo. Il processo di pace mediato dall’Angola è stato ufficialmente partecipato dai ministri di Ruanda e RDC, ma i termini della discussione hanno sempre lasciato spazio a molti dubbi e, al momento decisivo della firma, abbandonato dal presidente del Ruanda, prosegue. “L’impressione è che il negoziato sia stato portato avanti più per motivi di facciata che per una reale volontà di risolvere il conflitto. Il presidente della Repubblica Democratica del Congo ha voluto dimostrare alla comunità internazionale il suo impegno nel dialogo. Anche il Ruanda sembrava seguire la stessa strategia”.

Tuttavia – prosegue – i punti chiave discussi nel processo appaiono alquanto irrealistici. Il Ruanda ha richiesto lo smantellamento del gruppo armato FDLR (Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda), composto da esponenti hutu fuggiti in Congo dopo il genocidio del 1994. “Questo gruppo è strettamente legato a numerosi altri movimenti armati attivi nel Paese, che hanno ricevuto da loro addestramento militare e forniture di armi. Inoltre, molti membri dell’esercito congolese provengono proprio da questi gruppi ribelli, rendendo la sua eliminazione ancora più complessa”, prosegue la fonte.

Nel piano negoziale siglato a Luanda, si prevedeva lo smantellamento dell’Fdlr in tre mesi. “Un obiettivo che appare assurdo, considerando che per trent’anni non si è riusciti a risolvere il problema dei gruppi armati nel Nord-Est del Congo. Eppure, lo si è messo nero su bianco in un documento ufficiale”, dice.

La fonte esprime quindi la sua difficoltà a credere che una crisi decennale potessero risolversi in un arco di tempo così breve. “La sensazione è che il tavolo negoziale sia stato mantenuto aperto principalmente per dare l’impressione di un impegno diplomatico, più che per raggiungere una soluzione concreta e duratura”.

Secondo la fonte, l’abbandono dei tavoli negoziali e la spinta per l’escalation militare può anche essere collegata e favorita dal vuoto decisionale negli Stati Uniti, con la transizione amministrativa e l’incertezza sulla politica estera di Washington. “Il presidente ruandese ha probabilmente colto il momento opportuno. La condanna del Consiglio di Sicurezza dell’Onu nei confronti dell’M23 è stata solo simbolica: parole senza azioni concrete finora. Il Ruanda ha dunque spinto l’M23 a prendere Goma, sapendo che nessuno li avrebbe fermati”.

Le forze armate congolesi – riflette in nostro interlocutore – sembrano impotenti di fronte a questa avanzata. “La mobilitazione dell’esercito congolese è insufficiente. L’M23, supportato dal Ruanda, ha un’organizzazione e una strategia superiore. Non solo sono meglio armati, ma avrebbero anche messo a punto tattiche precise: truppe speciali ruandesi in prima linea per aprire il varco, poi l’M23 a consolidare il territorio. Un esercito ben addestrato e disciplinato, contro un esercito congolese disorganizzato, mal armato e minato dalla corruzione”.

Le tensioni interne all’esercito congolese non fanno che peggiorare la situazione, conferma la fonte. “Il governatore militare (delle Fardc) del Nord Kivu, Peter Cirimwami, – morto la scorsa settimana – era noto per il suo controllo sui gruppi armati locali, più che per la gestione dell’esercito. A settembre, Kinshasa – sempre per giocarsi la carta a livello internazionale – aveva inviato forze speciali per eliminare il comandante delle Fdlr, Pacifique Ntawunguka, alias Omega, ma il governatore stesso sembra averlo avvisato in anticipo, mandando a monte l’operazione. Questo la dice lunga sulle divisioni interne al comando”, dice.

Nel rapporto del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di fine dicembre si trova conferma dell’operazione contro Omega: “Il 23 e 24 settembre, le Forze Speciali della Fardc, comandate dal colonello Donatien Bawili, hanno lanciato operazioni vicino a Sake – in particolare a Shove, Kimoka, Lupango e Mubambiro – contro le posizioni di Fdlr-Foca, tra cui l’unità Commando de recherche et d’action en profondeur dell’Fdlr. L’offensiva mirava a smantellare le roccaforti dell’Fdlr e a ‘neutralizzare’ (cioè catturare o eliminare) il comandante militare ‘Generale Maggiore’ Ntawunguka Pacifique, alias Omega Israel, e altri leader dell’Fdlr”.

Il governo congolese potrà davvero riprendere il controllo? “Difficile dirlo. Se l’M23 rimane, ci sarà una lunga occupazione, con una popolazione ostile e un governo incapace di reagire. Se si ritirano, la crisi rimarrà comunque aperta, con un nuovo ciclo di conflitti”, risponde l’esperto esprimendo il suo punto di vista.

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