Il caso della Repubblica Democratica del Congo (RdC) dimostra come la geografia del conflitto rifletta la concentrazione delle materie prime. I territori, soprattutto quelli di Ituri e North Kivu, sono ricchi di minerali preziosi ma ciò che in particolare attira l’attenzione di acquirenti internazionali è il coltan: indispensabile per la realizzazione di batterie e strumenti tecnologici. Nonostante la ricchezza delle sue risorse naturali e il suo potenziale sviluppo economico, la RdC resta uno dei Paesi più poveri al mondo con una delle popolazioni di sfollati interni più estese di tutta l’Africa.
di Ornella Ordituro
Alcune delle più sanguinose guerre nella Repubblica Democratica del Congo (RdC) sono state consumate sul fronte delle risorse, soprattutto per la conquista e lo sfruttamento dei territori più ricchi di materie prime. I protagonisti sono molti, così come i suoi retroscena. In questo quadro così tanto complesso, bisogna tener conto anche della presenza di attori e investimenti stranieri, spesso multinazionali. L’accesso e lo sfruttamento delle risorse è il tratto che accomuna gli scontri a diversi livelli; non si tratta, specificamente, solo di guerre ma anche di conflitti a bassa intensità: maggiore è la prospettiva di investimenti e guadagni, minore è il livello di protezione del governo verso il territorio e la popolazione locale. Gli scontri si manifestano soprattutto nella parte orientale e meridionale del Paese, laddove è possibile estrarre più della metà della fornitura mondiale di coltan ad alto tasso di tantalite. Il suo utilizzo ottimizza il consumo di energia negli strumenti di nuova generazione, portando un notevole risparmio negli apparecchi elettronici.
Negli ultimi anni, anche la domanda di cobalto è aumentata per la crescita della produzione di veicoli alimentati ad energia elettrica, soluzione green ma non sufficientemente etica. Il suo valore è dovuto alle difficoltà di reperimento ma le ingenti quantità a prezzi notevolmente bassi sono strettamente legate alle esigenze di vendita.
La guerra per le risorse
La guerra per le risorse della RdC non ha mai conosciuto una vera tregua. Secondo dati UNHCR, attualmente la RdC è il secondo Paese al mondo dopo la Siria per numero di sfollati interni e accoglie mezzo milione di rifugiati in fuga da conflitti, causati dalle violenze perpetrate delle milizie in aree limitrofe della regione.
Allo stesso modo, il governo deve affrontare importanti sfide per tradurre la sua ricchezza mineraria in risultati di sviluppo sostenibili e un’equa distribuzione dei guadagni di produttività. Il coltan è un materiale molto richiesto nel commercio internazionale: una miscela di columbite e tantalite. Con il progresso tecnologico e l’aumento della richiesta di auto elettriche di uso quotidiano, è aumentato esponenzialmente anche il prezzo e così l’interesse dei commercianti, anche illegali, che hanno riconosciuto la prospettiva di guadagno proveniente dall’estrazione e vendita irregolare del minerale.
Le zone del Nord Kivu e Ituri ne sono un esempio. L’area orientale del Paese è presidiata dalle Forze armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC) a causa dei continui attacchi da parte dell’Hutu Power group Democratic Forces for the Liberation of Rwanda, il principale gruppo armato di ribelli ruandesi. Il gruppo è attivo tra la RdC e il Rwanda con l’obiettivo di rivendicare l’appartenenza di quella parte di territorio, ricco di minerali, al Rwanda. I territori tra Lubero e Beni, in particolare, sono invece spesso sotto attacco della Democratic Forces (ADF, un gruppo armato di ribelli tra RdC e Uganda, anch’esso già considerato come gruppo terroristico dalla comunità internazionale). Le operazioni militari condotte dalle FARDC per contrastare i ribelli di ADF provocano continui sfollamenti dei civili inermi che dal sud Irumu si rifugiano nella zona di Ituri, così come gli sfollati da Beni scappano a Boga. Il territorio di Beni è praticamente sfollato nella sua quasi totalità, la popolazione è scappata dal Nord Kivu a Ituri. Intanto, la situazione nella zona di Ituri si è aggravata al punto che il governo provinciale ha deciso di chiudere le sue frontiere.
La violazione dei diritti umani nell’estrazione dei minerali
La corsa al ribasso dei prezzi dei minerali espone i lavoratori, di ogni età, allo sfruttamento. Il rischio di ammalarsi prima e di più per i minatori locali è molto alto, così come quello di fare incidenti, a causa del trasporto di carichi troppo pesanti o per le condizioni di lavoro estremamente pericolose. Nonostante le numerose le segnalazioni, non ci sono dati ufficiali disponibili sul numero di vittime che si verificano. Eppure, gli incidenti sono comuni; i tunnel crollano molto frequentemente. Un altro fenomeno da non sottovalutare è quello dello sfruttamento minorile. I bambini, spesso utilizzati nell’estrazione dei minerali, sono oggetto di soprusi e abusi, brutalmente maltrattati dai caporali e dalle milizie ribelli operative nell’area, a presidio della “sicurezza”.
Negli ultimi anni, sono state numerose le iniziative delle famiglie dei minatori che, con l’aiuto delle organizzazioni non governative, hanno denunciato il contesto e chiesto al governo, istituzioni finanziarie, organizzazioni internazionali e al settore privato di attivarsi per supportare le comunità di minatori artigianali e porre fine, soprattutto, allo sfruttamento minorile.
A tal proposito, dalla fine del 2020, il Ministero nazionale delle miniere della RdC, rappresentato da Willy Kitobo Samsoni, partecipa al Comitato direttivo della Cobalt Action Partnership, dimostrando la presenza del governo nel settore. Si tratta di un’iniziativa in collaborazione tra organizzazioni pubbliche e private per l’estrazione sostenibile ed etica del cobalto entro il 2030. Sebbene sia ancora presto per valutare l’impatto finale di questi provvedimenti, va notato che per natura giuridica delle multinazionali non si prevede la responsabilità internazionale delle stesse. Nondimeno, è stato chiesto alle aziende di apparecchi elettronici e alle fabbriche automobilistiche di dimostrare che il cobalto estratto nella RdC grazie allo sfruttamento dei minatori e del lavoro minorile non venga usato nei loro prodotti. Le aziende hanno l’impegno di identificare, prevenire, risolvere e riportare la situazione del rispetto dei diritti umani lungo la catena di fornitori.
Le ombre sulle multinazionali
In conclusione, ci si domanda se le imprese multinazionali siano soggetti internazionali, titolari di diritti e obblighi internazionali, soprattutto in relazione al rispetto dei diritti umani delle persone fisiche (in primo luogo dei lavoratori) e delle comunità locali che subiscono le conseguenze negative delle loro attività. I problemi al riguardo sono numerosi, a partire dalla stessa definizione di “impresa multinazionale”.
La nozione compiuta e unitaria di impresa multinazionale costituisce un tema complesso. L’impresa, intesa come attività economica preordinata alla realizzazione di un profitto attraverso la produzione di beni o la fornitura di servizi, può essere definita come “multinazionale” per una pluralità di società nazionali, sottoposte alla legge del Paese di cui hanno la nazionalità di modo che la multinazionale risulti “priva” di un’unica legge regolatrice e di un unico foro competente.
Senza dubbi una disciplina internazionale per le imprese multinazionali è oggi sentita come particolarmente necessaria e urgente se si considera che esse possono facilmente aggirare le legislazioni nazionali (penali, fiscali, ambientali, protettive dei lavoratori…), spostando le proprie sedi o subordinando il loro insediamento in uno Stato, di regola attraente perché crea occupazione locale, che ha leggi particolarmente favorevoli dal punto di vista, ad esempio, ambientale. Tuttavia, dalla mera necessità o desiderabilità di obblighi non si può automaticamente dedurre la soggettività internazionale e la responsabilità delle multinazionali.
La soggettività giuridica internazionale non dipende dalla “forza” o dal “peso” che un ente svolge nei rapporti transnazionali. Cionondimeno, un’impresa multinazionale può essere molto più influente, in termini di potere – ossia governare, emanare leggi, sentenze, attuare ordini coercitivi in un ambiente sociale complesso – attraverso il rapporto politico con lo Stato, come esercizio di un potere legittimo e necessario per la convivenza civile, piuttosto che come una prova di violenza individuale arbitraria.
(Ornella Ordituro – Amistades)
Approfondimenti:
F. Spizzuoco e O. Ordituro, RDC, L’inferno delle miniere di coltan e cobalto, Quaderni Africani, 8 maggio 2021, https://www.africarivista.it/rdc-linferno-delle-miniere-di-coltan-e-cobalto/185208/
Amnesty International e Afrewatch (Observatoire Africain des Ressources naturelles, https://afrewatch.org) hanno contattato 16 multinazionali che risultano clienti delle tre aziende che producono batterie utilizzando il cobalto proveniente dalla Huayou (un’azienda cinese specializzata nella ricerca e sviluppo di batterie energetiche a cobalto. Cfr. http://en.huayou.com) o da altri fornitori della RdC.
Amnesty International, 2017 Time to recharge corporate action and inaction to tackle abuses in the cobalt supply chain https://d21zrvtkxtd6ae.cloudfront.net/public/uploads/2017/11/1508472 0/Time-to-recharge-1411.pdf
C. Focarelli, Economia globale e diritto internazionale, Il Mulino, 2016
UNHCR https:// www.unhcr.org/it/notizie-storie/comunicati-stampa/lalto-commissario-grandi-esorta-la-comunita-internazionale-a-s ostenere-la-repu bblica-democratica-del-congo
UNHCR, ITURI, NORTH KIVU AND SOUTH KIVU PROVINCES DEMOCRATIC REPUBLIC OF THE CONGO https://reporting.unhcr.org/sites/default/files/UNHCR %20DRC%20-%20Emergency%20update%20on%20Ituri%2C%20North%20Kivu%20and%20So uth%20Kivu%20%288%20-% 2022%20June%202020%29.pdf
UNICEF, République Démocratique du Congo, The Multiple Indicator Cluster Survey, Rapport Final Décembre 2019, https://www.unicef.org/drcongo/media/3646 /file /COD-MICS-Palu-2018.pdf
Per aggiungersi all’appello di Amnesty per fermare il lavoro minorile nelle miniere di cobalto nella RdC: https://www.amnesty.it/appelli/ferma-lavoro-minorile-nelle-miniere-cobalto-del-congo.