Il movimento calcistico femminile nella Repubblica democratica del Congo versa in uno stato comatoso. «Colpa degli uomini corrotti e incompetenti che non sanno gestire lo sport più bello del mondo», accusano le giocatrici.
Per ingannare il tempo, Merveille si è messa a palleggiare davanti a uno sparuto gruppo di irriducibili tifosi. Le sue compagne hanno già tolto gli scarpini e se ne stanno accovacciate con l’aria rassegnata sulle gradinate semivuote del vecchio stadio di Kinshasa, un catino pieno di sabbia nera, cimelio diroccato dell’epoca coloniale. «Sono due ore che aspettiamo, mi sono stancata», sbotta Émilie, sguardo severo e groviglio di treccine elettrizzate sulla testa. «È l’ennesima volta che accade: così non possiamo più andare avanti». Le giocatrici dell’Espoir de Bandal, eleganti nelle loro uniformi rosa confetto, attendono di iniziare una partita di campionato.
Ma le avversarie non si sono presentate e nessuno conosce il motivo del forfait. «È una squadra dell’Est del Paese – dice stizzita Emilie –. Sarebbe dovuta arrivare in aereo nella capitale per disputare l’incontro programmato da tempo. Ma ci scommetto che non avevano i soldi per il volo e hanno dovuto rinunciare. Peccato che nessuno si sia degnato di avvertirci». Dopo un’altra mezz’ora di inutile attesa, l’arbitro designato per il match, un omone impettito con la livrea troppo attillata, invita le giocatrici dell’Espoir a entrare in campo dietro di lui, come da regolamento, per poi decretare subito con il triplice fischio la fine di una partita che non si è mai giocata. «Vittoria 3 a 0 a tavolino per la squadra di casa, a causa dell’assenza della squadra ospite», sarà scritto sul referto arbitrale. Ma nessuna delle ragazze dell’Espoir de Bandal ha voglia di festeggiare. «Sai che soddisfazione! – mugugnano all’unisono –. Siamo a punteggio pieno in classifica, ma abbiamo vinto “a tavolino” la metà delle partite in calendario… Così non è bello né divertente. Ci stanno togliendo la gioia di giocare».
Pochi soldi
Il calcio femminile nella Repubblica democratica del Congo versa in uno stato comatoso. L’unico campionato di categoria programmato in questo Paese vasto otto volte l’Italia è stato sospeso a più riprese nel corso degli ultimi tre anni. Delle dieci squadre iscritte, ben quattro sono fallite per insolvenza, ovvero perché i loro proprietari si sono trovati sopraffatti dai debiti. Altre due sono state travolte da scandali e truffe che hanno coinvolto i loro presidenti. Le poche società rimaste in piedi si affannano a sopravvivere.
«È un momento difficile, il più complicato di sempre», ammette Alexander Mangituka Ngunga, responsabile della sezione femminile della Federazione calcistica congolese. «Avremmo potenzialmente migliaia di brave atlete e milioni di tifosi desiderosi di seguire le partite… Il problema sono gi sponsor che snobbano il nostro sport. Ci fosse un imprenditore, un gruppo industriale, un filantropo interessato a investire su di noi… E invece siamo ridotti al punto che alcune squadre non riescono nemmeno a procurarsi palloni e divise. Figurarsi gli ingaggi da fame che riservano a giocatrici e allenatori».
Campi di battaglia
I campi da calcio calcati dalle donne del Congo sono rettangoli di terra sconnessi, pieni di buche e sassi. Sembrano più che altro dei campi di battaglia sventrati da trincee ed esplosioni. «Si rischia l’osso del collo ad allenarsi», protesta su Facebook una giocatrice dell’Fcf Bilenge, altra squadra di Kinshasa. «E non va meglio quando ci tocca giocare una partita fuori casa». Le trasferte vengono effettuate con mezzi di fortuna. I viaggi possono durare parecchi giorni quando tocca giocare con le squadre delle province più remote (Bafana bafana del Katanga, Étoile du matin del Sud-Kivu, Racing Club Boa del Maniema, Attaque sans recul del Kasai Orientale). «Siccomei biglietti aerei costano troppo, alcune équipe sono costrette a imbarcarsi su battelli o zattere che discendono il fiume Congo», spiega Léopardsfoot.com, il portale del calcio congolese. «Altre sono costrette a stivarsi nei cassoni degli autocarri che arrancano lungo le piste fangose. Impensabile viaggiare su bus riservati: costerebbe troppo per le magre casse delle squadre femminili».
Malaffare
Ma la crisi del calcio in rosa non è dovuta solo al disinteresse degli sponsor. La mancanza di fondi appare a molti osservatori come un alibi, il maldestro tentativo di scaricare le colpe sul mondo esterno, per non parlare delle responsabilità di chi ha gestito finora uno sport che appare marcio fino al midollo. Malaffare e clientelismo sono i mali che attanagliano da sempre questo settore governato da troppo tempo da una ciurma di dilettanti allo sbaraglio.
Le cronache sportive congolesi sono zeppe di notizie che di sportivo hanno ben poco: l’ultimo fattaccio ha riguardato i dirigenti dell’Attaque sans recul, squadra vicecampione in carica, giudicati colpevoli dalla Federazione di aver tesserato e schierato in campo una giocatrice, Luvungu Mayenga, poi divenuta capocannoniera del campionato under 17, dopo averne falsificato i dati anagrafici e aver bluffato sulla sua data di nascita. Ma nel corso degli anni molti faccendieri legati alle varie società sportive sono rimasti implicati in scandali dei documenti falsi. Altri sono stati coinvolti in casi di corruzione, altri ancora sono fuggiti con la cassa degli stipendi destinati alle atlete, facendo sprofondare nel baratro il movimento calcistico in rosa, che non a caso oggi vive nella totale incertezza.
Sogni sfumati
La situazione si è fatta critica con il crack delle due squadre più prestigiose del campionato: l’Inter Stars ha dovuto capitolare dopo la morte del suo storico presidente Bob Fal Mundabi, ex amministratore delegato del Grand Hôtel Kinshasa, che per anni aveva investito fiumi di denaro nel calcio femminile; mentre la rivale FC Force Terrestre, per lungo tempo finanziata da un generale dell’esercito, il potente Gabriel Amisi, è stata decapitata sotto la scure degli tagli ai bilanci delle forze armate.
Sembrano lontani anni luce i tempi in cui il calcio femminile congolese primeggiava in tutta l’Africa. La squadra nazionale, creata nel 1998, all’indomani dell’uscita di scena dell’ex dittatore Mobutu, era l’orgoglio del presidente Kabila. Nel gennaio del 2012 era stata capace di rifilare una batosta – vittoria netta per 4 a 0 – alla forte rappresentativa dell’Uganda. Oggi le celebri Léopard (così vengono chiamate affettuosamente a Kinshasa le donne della nazionale di calcio) sono scivolate al 148esimo posto nel rating mondiale Fifa. Praticamente il fanalino di coda. «Se siamo ridotte così è tutta colpa di un manipolo di uomini incapaci e corrotti», accusa un’atleta dell’Espoir de Bandal che preferisce mantenere l’anonimato. E aggiunge, convinta: «Se solo il nostro sport fosse gestito dalle donne, le cose andrebbero molto meglio». Poi, con un gesto di stizza, accartoccia la maglietta della squadra e la getta nello zaino. Torna verso casa, scura in volto, mentre alle sue spalle un gruppo di bambini ha già preso possesso dal campo e corre dietro a una lattina. «Il calcio non è uno sport per femminucce», canzonano tra nuvole di polvere.
(testo di Frédéric Mambulu – foto di Federico Scoppa / Afp)